L'ILLUMINAZIONE NELLE MINIERE
Cenni storici sulle lampade da minatore e loro funzionamento
di Giuseppe Croce *

Vendita lampade a acetilene (carburo di calcio)

Gli inizi : dalla scintilla alle lucerne
L'oscurità è stato il primo ostacolo che i minatori hanno dovuto affrontare negli scavi in sotterraneo. Inizialmente la luce che proveniva dall'imboccatura delle gallerie o dei pozzi doveva bastare. Non conoscendo fonti di luce diversa i primi minatori usarono la pietra focaia e per oltre 200.000 anni la pietra focaia fu il solo mezzo di illuminazione usato in sotterraneo.
Con la scoperta del fuoco l'uomo primitivo portò in miniera le torce, che possono definirsi le prime lampade portatili
Solo dal tempo dei romani si ha conoscenza dell'impiego di lucerne di terracotta, aperte o chiuse, che venivano riempite di sego o di oli vegetali .
Dal I° secolo D.C. furono usate anche candele di sego, sorrette da candelieri di legno che avevano il pregio di illuminare meglio ma dovevano essere impiegate in ambienti areati perché fumavano molto.
L'illuminazione nel sottosuolo ha seguito un lento sviluppo nel tempo e solo nel XVII secolo apparvero lampade a fiamma libera costruite in metallo, munite di gancio per il sostegno e alimentate ad olio vegetale.
Tra queste ricordiamo la lampada lenticolare, costruita in ghisa, in ferro o in ottone caratterizzata da un contenitore per il combustibile a forma di lente circolare oppure a stella con 8 o 16 punte, sormontata da un sostegno ad arco e con un allungo terminale ad uncino o con un piccolo martello. Il tappo del serbatoio era sormontato da un galletto in metallo, generalmente in ottone.
Diffusa è stata anche la lampada Frosch (rana) consistente in un contenitore metallico a forma di rana chiuso con un piccolo coperchio a cerniera o con un chiavistello scorrevole per la carica del combustibile
Fino all'alba dell'era industriale (1800 circa) le lucerne ad olio, pur evolute nel tempo, e le candele di sego sono state le uniche fonti di illuminazione nelle miniere.
Il repentino sviluppo dell'industria manifatturiera causò nel XVIII secolo una crescente domanda di combustibili in generale e di carbone in particolare.

Il grisou
Le miniere di carbone, sino ad allora coltivate superficialmente raggiunsero profondità ed estensioni considerevoli. Purtroppo il grisou che fino a quel momento non aveva creato preoccupazioni perché gli scavi erano poco profondi, cominciò ad essere un vero problema. Migliaia di minatori furono vittime per lo scoppio di questo micidiale gas che si sprigiona naturalmente dai giacimenti di carbone.
Il grisou è un gas principalmente costituito da metano (CH4) e forma con l'ossigeno dell'aria una miscela che diventa esplosiva con un tenore compreso tra il 6 ed il 16%.
Lo scoppio avviene per innescamento con una fiamma libera o per scintilla e l'onda d'urto è di una violenza inimmaginabile tale da distruggere tutto al suo propagarsi
Per questo motivo molte miniere di carbone, agli inizi del 1800, dovettero essere chiuse e abbandonate finchè, nel 1815, l'inglese Sir Humphrey Davy mise a punto una lampada di sicurezza che impediva che la sua fiamma innescasse il grisou.

La lampada di sicurezza
La lampada di Davy si basa sul principio fisico che una fiamma non passa una rete metallica quando le maglie sono molto fitte: una camicia cilindrica grigliata applicata, a guisa di cappuccio, alla fiamma di una lampada, impedisce alla fiamma stessa di venire a contatto con l'atmosfera esplosiva (grisou) consentendo nel contempo l'ingresso dell'aria (comburente) e la fuoriuscita dei gas di combustione.

La lampada di Davy risolse molti problemi e ci fu la riapertura delle miniere di carbone abbandonate. Con il tempo la lampada di Davy fu via via perfezionata da altri inventori che eliminarono carenze del primo esemplare. E cioè :
- la lampada originale, che funzionava ad olio vegetale aveva un rendimento luminoso pessimo perché la luce della fiamma doveva passare attraverso la maglia metallica.
Fu adottato un vetro in sostituzione della rete al livello della fiamma;
- La lampada di Davy aveva una sola camicia di rete e pertanto se la lampada veniva inclinata o lasciata in una forte corrente d'aria, la fiamma andava a lambire la rete e finiva per renderla incandescente e quindi poteva essere di innesco per il grisou presente nell'aria.
Fu adottata una seconda camicia di rete, contenuta nella prima;
- Le reti metalliche furono protette dalle azioni meccaniche da un mantello metallico con lo scopo anche di sottrarre la fiamma alle correnti d'aria.

Dalla scoperta e fino alla fine del secolo XX, tutte le lampade di sicurezza erano alimentate con olio vegetale.

Nel 1883 il tedesco Karl Wolf realizzò la prima lampada di sicurezza a benzina, che dava una migliore illuminazione, con la possibilità di accertare la presenza del grisou e di valutarne il tenore nell'aria.
La fiamma della lampada a benzina reagisce alla presenza di grisou perché entrando attraverso la camicia di rete o dalle prese d'aria brucia al di sopra della fiamma della benzina, formando un cono blu-grigiastro. Dall'altezza della fiamma il minatore può valutare la percentuale di grisou presente nell'aria.
Alla lampada di Wolf veniva applicato un dispositivo di chiusura che consentiva l'apertura della lampada solo con un potente magnete non disponibile dal minatore e soprattutto di un dispositivo di riaccensione, in caso di spegnimento della lampada, azionato dall'esterno (accendino con pietrina al ferro-cerio).
Anche queste lampade avevano due camice di rete e un mantello esterno di protezione.
Queste lampade si poterono considerare veramente sicure e non ci fu bisogno di ulteriori miglioramenti.

Le lampade ad acetilene, dette anche a carburo
L'acetile fu preparato in laboratorio nel 1815 ma solo nel 1892 lo statunitense T.Wilson
scoprì casualmente il processo di come produrlo in quantità commerciali, consentendo finalmente di avere un mezzo di illuminazione economico e con una fiamma luminosa.
L'acetilene è prodotto dalla reazione dell'acqua sul carburo di calcio con un residuo solido di calce spenta. Brucia all'aria ad una temperatura di 1000 °C
CaC2 + 2 H2O    ------------->     C2H2 + Ca (OH)2
Il carburo di calcio è un corpo grigio, simile alla pietra, di densità 2,25 e va conservato in un contenitore ermetico per evitare la decomposizione dovuta alla umidità atmosferica.
Una lampada ad acetilene, detta anche a carburo, è composta da due contenitori cilindrici in metallo sovrapposti che si uniscono ermeticamente tra di loro con vari sistemi ; quello superiore funge da serbatoio dell'acqua, quello inferiore contiene la carica del carburo. Un rubinetto a spillo permette di regolare il flusso dell'acqua in maniera molto precisa. L'acetilene prodotto esce da un beccuccio, dove viene acceso.
Fermo restando per tutte il principio di funzionamento, le lampade a carburo sono state costruite in migliaia di esemplari in tutto il mondo, sono portatili per mezzo di un gancio appuntito per poterle appendere , oppure di dimensioni ridotte da portarsi sull'elmetto, agganciate ad un supporto.
Le lampade a carburo, per uso minerario, possono essere usate solamente in attività dove non c'è pericolo di presenza di gas.

Le lampade elettriche a batteria
Le prime lampade elettriche a batteria con accumulatore ricaricabile al Nichel-Cadmio che garantissero una sufficiente autonomia comparvero nel 1905. Esse trovarono utilizzo solo nelle miniere di carbone e di zolfo, perché garantivano una sicurezza contro le esplosioni. Di contro erano molto pesanti e non potevano rilevare la presenza di grisou.
Col passare degli anni e con il progredire dei componenti elettrici impiegati per la loro costruzione, le lampade elettriche a batteria hanno trovato maggior diffusione e tutte le miniere, soggette a pericolo di esplosione o di incendio, andarono ad adottarle in sostituzione delle lampade di sicurezza di Davy .

Solo dopo la seconda guerra mondiale si diffusero le lampade elettriche con batteria da portare alla cintura e faretto fissato al copricapo che garantivano un'autonomia di 12-13 ore di funzionamento e con un limitato peso totale (2,4 kg).
Esse hanno raggiunto quel grado di praticità, di leggerezza, di sicurezza che le ha fatte adottare universalmente in tutte le miniere del mondo e in tutti i lavori in sotterraneo di ingegneria civile, lasciando a tutti gli altri tipi di lampade da minatore compiti assai limitati e oggetto di collezionismo.


Minatori al Traforo del M. Bianco (1962) con lampade a faretto.

Raccogliere lampade da minatore, studiarle, metterle in condizione di funzionare ancora, farle conoscere ai giovani e a coloro che non hanno potuto conoscere l'ambiente ove venivano utilizzate, sono tutti modi per far rivivere il lavoro di tante generazioni di minatori che con i loro sacrifici hanno reso possibile, tutto sommato, un generale miglioramento delle nostre attuali condizioni di vita.


* Giuseppe Croce, perito minerario di Agordo (BL), è un collezionista di lampade da minatore di ogni tipo provenienti da tutto il mondo, particolarmente dall' Inghilterra .
E' interessato a contatti per scambi o acquisti di lampade e in genere di oggetti relativi alla miniera.

Gruppo Culturale Amici dell'Orso