(tratto da I PITTORI BERGAMASCHI DAL XIII AL XIX SECOLO, IL SETTECENTO I, Raccolta di studi a cura della Banca Popolare di Bergamo, Poligrafiche Bolis Bergamo, 1982, pp.359-365)
ANTONIO CIFRONDI nacque a Clusone l11 giugno 1656:
la data esatta di nascita è stata precisata solo da pochi anni, essendosi sempre ritenuto
che Antonio fosse nato ne1 57 (v. Regesti). Era figlio primogeoito di Carlo,
muratore, e di Elisabetta; il nonno paterno si chiamava Ventura: un nome di famiglia che
sarà poi imposto al terzogenito che, secondo i biografi antichi, lo seguirà come
aiutante a Torino e in Francia, a Rosciate e (anche se il Tassi non lo dice espressamente)
forse anche a Brescia negli ultimi anni. La dizione del suo cognome oscilla tra Cifrondi
(di gran lunga la più frequente e certamente quella esatta), Sifrondi (egli stesso si
firmò così un paio di volte), Zifrondi (è la forma preferita dalle fonti scritte
auliche, Tassi ecc.), Ciffrondi e Siffrondi (in alcuni documenti) e addirittura Scifrondi
(nel documento romano del 1679) e Zifroni (nella guida piacentina del Carasi). La famiglia
era originaria della Val Seriana, forse di Villa dOgna dove un Cifrondo Cifrondi è
citato in un documento del 1644. Nel XVII secolo (secondo il Baradello) un ramo della
famiglia si stabilì a Venezia per aprirvi commerci, ma restò sempre molto legato alla
piccola patria tra i monti. Lo stesso Antonio, nonostante la vita errabonda degli anni
giovanili e il susseguirsi di committenze nella maturità che lo portarono a vivere
continuativamente lontano da casa - prevalentemente a Bergamo, poi a Rosciate e infine a
Brescia -, ebbe sempre un rapporto privilegiato con Clusone: molte sono le commissioni
pubbliche e private clusonesi, e anche in punto di morte si ricorderà nel testamento
della sua patria. Antonio ebbe cinque fratelli (come sappiamo da un inedito Stato
danime dellaprile 1688: v. Regesti): Giovanni Marco, Ventura, Giovanna,
Francesco, Maria. Di essi sopravvissero al pittore solo Ventura e Giovanna che, nel 1740,
estinse la famiglia). Poco si sa di questi fratelli: Francesco fu prete; Ventura
intraprese lo studio del disegno, ma rimase sempre in qualità di aiuto allombra del
più famoso Antonio (un tentativo di ipotizzare una sua attività indipendente, seppur
anche solo come copista delle opere più celebri del fratello, non ha per ora la
possibilità di una convalida documentaria). E ovviamente nella piccola e isolata
Clusone (piccola ma florida di commerci e viva per la presenza di diverse famiglie nobili)
che il Cifrondi ebbe i primi rudimenti di disegno. "Dimostrò sin da fanciullo"
scrive il Tassi "spirito ed ingegno grandissimo e ... tutto dì schiccherava figure
ora sui muri ora sulle carte..."; fu quindi "posto sotto la direzione di un
mezzano pittore chc abitava in quelle parti, detto il Cavalier del Negro". Nonostante
le ricerche, nessuna traccia (nè anagrafica nè pittorica) è stato possibile
rintracciare del mediocre pittore; ed è lecito pensare che il giovane Antonio traesse
maggiori vantaggi dal seguire i lavori in muratura del capomastro Francesco Cifrondi suo
zio, colui che avrebbe avuto lincarico della ricostruzione della parrocchiale
clusonese. Il Tassi così prosegue: "Non potendo il suo spirito vedersi ristretto in
un paese e sotto un maestro dal quale non poteva sperare nessun avanzamento, venne in
deliberazione di portarsi in Bologna; ove postosi nella fiorita scuola del famoso
Franceschini, fece tanto profitto che ... determinò di fare il gran giro
dellEuropa". Il biografo è assai sbrigativo in questa parte: non cita le
premesse per la permanenza a Bologna; non cita il viaggio a Roma. Se infatti (non si
dimentichi che anche il padre era muratore e aveva molte bocche da sfamare) fu possibile
inviarlo a Bologna - e, si presume, in un periodo (poco oltre i quindici anni) in cui
difficilmente il giovane poteva provvedere da sè -, si deve al fatto che egli potè
fruire di una delle "borse di studio" che ogni anno venivano messe a
disposizione di tre giovani clusonesi di famiglia povera che desiderassero continuare gli
studi delle arti liberali, secondo le benemerite disposizioni del testamento (16 marzo
1630) del fonditore clusonese Ventura Fanzago. Non vi sono ragioni per dubitare della
correttezza dellinformazione del Tassi, ma non si può neppure affermare (v. La
critica) che sia stato proprio MarcAntonio Franceschini il maestro del Cifrondi: sia
perchè ben pochi sono i punti di contatto tra i due pittori, sia perchè il Franceschini
aveva appena otto anni più del clusonese. Allalunnato bolognese seguì forse un non
ricordato periodo di viaggi in Italia: siamo nella seconda metà degli anni settanta. Al
contrario almeno una traccia di un suo viaggio (classico) a Roma possiamo averla da una
notizia di malavita (sconosciuta a tutte le fonti antiche e a coloro che modernamente si
sono interessati del pittore: rimasta sepolta nella pubblicazione del Bertolotti): in data
16 ottobre 1679 il Cifrondi fu infatti derubato "mentre stava alla locanda della
Croce Bianca": che a quel tempo le sue coodizioni non fossero troppo misere possiamo
arguirlo da quanto affermato nella denuncia del furto: "oltre il ferraiolo ... era
derubato di spada con elsa argentata ..." E a questo punto (presumibilmente
agli inizi degli anni ottanta) che Antonio decide il gran passo del viaggio in Francia,
seguito dal fratello Ventura. Secondo il Tassi i due si fermarono a lavorare a Torino (ivi
"per qualche anno si trattennero") dove raggiunsero un'indipendenza economica
("...operava indefessamente ... come anco per aver modo di sostenersi colle proprie
fatiche"). A Torino (nonostante le ipotesi generiche di qualche studioso recente: v.
La critica) non è stata fatta alcuna ricerca sul passaggio del Cifrondi e su sue
eventuali opere superstiti: credo comunque che sia da ridimensionare il lasso di tempo
proposto dal Tassi, sia perchè sarebbe difficile far rientrare il lungo viaggio in
Francia e a Parigi nei pochi anni a disposizione (nell86 il Cifrondi è
senzaltro rientrato a Clusone), sia perchè sarebbe stato strano - una volta
allontanatosi da Parigi - puntare su Clusone (dove verosimilmente non aveva ancora dato
prova di sè) e non tornare a Torino se vi aveva lasciato opere e committenti. Del viaggio
in Francia - sfrondato delle aggiunte con cui, soprattutto nellOttocento (P.
Locatelli), si ritenne di poterlo romanticamente romanzare - possiamo distillare (dal
Tassi) i dati più importanti: che in un primo momcnto i due fratelli si fermarono alla
Grande Chartreuse di Grenoble dove compirono "diversi lavori ... con intero
piacimento di que' Religiosi"; che a Parigi il mecenate di Antonio fu il Duca
dHarcourt; che frequentò, la Corte parigina (e forse personalmente il pittore
Charles Le Brun, allora in auge); che la partenza da Parigi fu alquanto improvvisa.
Sfortunatamente non è stato possibile trovare documenti o indicazioni cronologiche o
pittoriche nè alla Grande Chartreuse nè a Parigi: v. Catalogo Opere perdute (per le
ricerche sul Duca di Harcourt ringrazio Sylvie Béguin); tuttavia ritengo che a Grenoble
un approfondito esame di documenti e testi pittorici potrebbe dare qualche frutto. Resta
il fatto che per il momento le prime opere conosciute del Cifrondi sono quelle posteriori
al ritorno in patria. Per quanto concerne linflusso della pittura francese sulla sua
formazione, si veda la critica. Quanto infine alle ragioni dellinterruzione del
soggiorno parigino, laneddotica bergamasca e clusonese si è sbizzarrita a inventare
contrasti col Le Brun e dialoghi pepati (Locatelli). Recentemente la Motta (tesi di
laurea) ha avanzato lipotesi che il pittore abbia seguito la sorte delle Compagnie
della Commedia dellArte (cui verosimilmente era legato per ragioni geografiche:
molte erano infatti lombarde e bergamasche) definitivnmente bandite dalla Francia da un
edito del Re Sole nel 1687. A questa illazione (che si basa soprattutto
sullesecuzione, da parte del Cifrondi, di una Figura della Commedia
dellArte: v. scheda 150) osta non solo il fatto che il dipinto è probabilmente
tardissimo - e forse neppure rappresenta una figura della Commedia dellArte -, ma
anche la constatazione che il suo rientro in patria dovette avvenire almeno entro il 1686.
Il 21 febbraio 1687 il Cifrondi è infatti sicuramente a Clusone, essendo presente nel
Rogito con cui acquista una casa con due orti in località Zuccano (è la stessa casa che
verrà ipotecata nel 1709 e in seguito venduta all'asta: v. Regesti). Ma se agli inizi
dell87 Antonio è a Clusone, non vi è più (esplicitamente detto
"absens") nellaprile del 1688, al tempo del censimento riportato nel già
citato Status animarum Clusoni. Forse è già a Bergamo, forse sono iniziate quelle
richieste e quelle committenze (soprattutto religiose) che si seguiranno sempre più
intense in tutta la bergamasca fino almeno alla fine del primo decennio del Settecento. Lo
possiamo arguire dal numero incredibile di opere eseguite per le chiese di tutta la
pravincia, la cui difficile seriazione per una lettura coerente dello sviluppo
dellattività del Cifrondi (ostacolata dalla quasi assoluta mancanza di opere datate
o databili con lappoggio di documenti) è tentata brevemente nella Critica e
singolarmente nelle schede. In questa sede verranno pertanto segnalati esclusivamente i
dipinti datati o con sicurezza databili. Scoperto ormai (col controllo dei documenti
finalmente ritrovati: v. Regesti) che le opere della Basilica di Clusone non sono databili
al 1688 - secondo linterpretazione corrente scaturita dalla lettura incompleta
fattane dal Baradello -, ma sono da scalarsi tra il 1702 e il 1704, in un periodo quindi
già avanzato dellattività lombarda del Cifrondi, - i primi anni bergamaschi
dellartista sono ricostruibili sulla traccia di una decina di documenti riferentisi
solo in parte ad opere superstiti. E del 1689 lesecuzione (Tassi) degli
affreschi dello scalone e del Refettorio del convento di S. Bartolomeo a Bergamo,
purtroppo successivamente distrutti. Del 1690 sono le prime opere esistenti, appena
rintracciate, la Fuga in Egitto e il Transito di S. Giuseppe a Cerete Basso.
Del 1691 la pittura murale rappresentante la Caduta di Simon Mago nella casa
parrocchiale di Trescore Balneario; dello stesso anno la piccola tela del S. Zosimo
confessore in collezione privata bergamasca. Agli stessi inizi degli anni novanta sono
con sicurezza ascrivibili sia le "medaglie" del soffitto di S. Leonardo a
Bergamo (la cui ricostruzione fu terminata intorno a1'90), sia le pitture murali del
soffitto della seconda sagrestia della parrocchiale di Alzano Lombardo, rappresentanti Scene
della Passione di Cristo: nel 1692 infatti iniziano i pagamenti ad Andrea Fantoni che
completò la decorazione (intagli, statuette, cariatidi) dello splendido ricchissimo
ambiente. Si potrà notare che quasi rutte le pitture murali del Cifrondi appartengono al
periodo relativamente giovanile dellartista, avendo egli successivamente
privilegiato i dipinti su tela. Ancora da una revisione dei documentipossiamo stabilire
con esattezza che la grande tela dellIncontrodi Leonee Attilafu eseguita e pagata al
Cifrondi nel 1693, anche se sistemata solo nel 90 nella pacrocchiale di Cenate S.
Leone. Proprio gli anni tra il 93 e il 1703 circa sono quelli per i quali abbiamo il
maggior numero di opere datate o databili con sicurezza documentaria: ancora dal Chronicon
dello stesso archivio di Cenate sappiamo di una "palla di tutti li Santi"
pagata al pittore nel '95 e oggi dispersa. Nello stesso anno il Cifrondi data il primo dei
grandi teleri di Cerete Basso, la Pentecoste, dell'anno successivo è lAdorazione
dei Magi; certamente contemporanea (anche se non datata) la terza tela col Martirio
di S. Vincenzo. Sicuramente eseguito nel 1698 è il grande Martirio di S.Alessandro
per la chiesa di S. Alessandro della Croce a Bergamo: lo apprendiamo da una supplica
inviata sei anni dopo dal pittore ai Deputati del Consorzio della chiesa per ottenerne il
pagamento. Allultimo anno del secolo o all'anno 1700 può essere fatta risalire la Natività
della Vergine della parrocchiale di Nona (v. scheda 191). All'inizio del nuovo secolo
il Cifrondi decise di farsi ospitare nel convento di S. Spirito in Bergamo in cambio di
una larga produzione di dipinti: "Nel principio di questo secolo", scrive
infatti il Tassi, "si trattenne per molti anni nel convento di S. Spirito ove ha
dipinto tutti li quadri che sono nel refettorio ed in altre stanze vicine, come anco
alcuni quadri della loro chiesa e sagristia": e il biografo cita una cinquantina di
opere. Ad avallare lesattezza della notizia del Tassi, cinque delle tele tuttora
esistenti in S. Spirito (S. Giovanni Evangelista, S. Matteo, S. Marco, S. Luca, S.
Pietro) recano la firma e la data 1701. Nonostante la stupefacente rapidità di
esecuzione che tutti gli antichi scrittori riconoscono al clusonese (e che è
riscontrabile anche oggi nella tecnica usata: le grandi spatolate di colore, le filature
di biacca, i fondi rossicci che altro non sono che la preparazione della tela rimasta
scoperta), è impensabile che il cospicuo gruppo di opere per S. Spirito sia stato
eseguito tutto in un solo anno; ho tentato pertanto di scalare in tre o quattro anni
quelle oggi superstiti: una quindicina di dipinti ancora in loco, due immensi teleri ora
nella parrocchiale di Brivio (ma documentariamente provenienti dall'abside di S. Spirito),
e - con molta probabilità - un gruppo di Santi esistente a Stezzano e un altro a S.
Antonio dAdda. Lipotesi della ricostruzione della provenienza di queste opere
passa anche attraverso gli inventari della Galleria del Conte Giacomo Carrara (che
sicuramente comprò anche da S. Spirito opere del Cifrondi al momento della Soppressione
del convento: si ricordi il perduto bozzetto col Paradiso), Galleria che poi subì
una diaspora nella prima metà del XIX secolo. Accanto ai dipinti per S. Spirito, molte
sono le opere documentate eseguite nel primo lustro del Settecento: il bozzetto dellUltima
Cena firmato e datato 1701, conservato in quella sagrestia della parrocchiale di Nese
in cui si trova anche una copia dal Passaggio del Mar Rosso di Luca Giordano che,
attribuita a Cifrondi in questa occasione, mostra il suo interesse per lopera del
napoletano; quattro tele perdute per la Cappella del Corpus Domini in S. Alessandro in
Colonna, per le quali abbiamo documenti di commissione e pagamento fra il dicembre 1701 e
il febbraio 1703 (v. Regcsti); e infine unaltra grande impresa, la decorazione delle
grandi tele del soffitto della Basilica della sua Clusone. Rinviando ai Regesti e alla
scheda 115 lesegesi e linterpretazione dei vari documenti rimastici, si dovrà
almeno ricordare che le sei tele furono compiute (parte a Bergamo, verosimilmente presso
il Convento di S. Spirito, parte a Clusone) tra laprile del 1702 e il luglio del
1704. Nello stesso 1704 il Cifrondi dovette eseguire (Carasi) un S. Sebastiano per
la Chiesa di S. Agostino a Piacenza - lunica di cui si abbia notizia fuori dalle
provincie di Bergamo e Brescia -, ma la notizia è incontrollabile, essendo lopera
perduta. Tra il 1704 e il 12 non abbiamo alcuna opera datata o con sicurezza
databile: è un periodo di vuoto di documenti (anche il Tassi salta allimprovviso
alla decorazione della villa di Rosciate, nel 12 appunto) e forse anche di miseria -
si pensi alla citata supplica per il Martirio di S. Alessandro-, in cui si è tentato di
seriare alcune opere esclusivamente in base al criterio stilistico e alle variazioni
seppur minime che è possibile notare tra un gruppo di tele e un altro. Gli unici
documenti di questi otto anni sono tutti del 1709: il primo è la già ricordata ipoteca
accesa sulla sua casa in località Zuccano (con la garanzia di Ventura); il secondo è il
pagamento per il "refasimento" di due dipinti della volta del coro della
parrocchiale di Clusone (un incidente dovette averne fatto crollare la volta); il terzo è
un documento autografo intitolato "Spese fatte da Antonio Cifrondi... "
(riportato dal Baradello: v.Regesti) dal quale sappiamo che il pittore aveva eseguito
moltissimi ritratti soprattutto di personaggi clusonesi. Proprio nel settore della
ritrattistica possiamo trovare qualche riferimento cronologico basandoci su dati esterni
(letà dei ritrattati): si possono così datare intotno al 1707-8 i due Ritratti
Agliardi, fondamentali per la ricostruzione di un settore della sua attività ancora
in gran parte da scoprire. In questo primo decennio per noi ancora tanto misterioso il
Cifrondi, abbandonata lospitalità dei Canonici Regolari di S. Spirito, dovette
probabilmente acconsentire a spostarsi spesso per eseguire anche in loco le varie
committenze: sono verosimilmente gli anni in cui - prima di accertare una nuova
ospitalità, questa volta privata, oltre che un po isolata - il pittore, ormai
arrivato richiestissimo (il Baradello testimonia che alcuni documenti,
nellirrintracciabile Archivio Fogaccia, già nel 1693 citavano Clusone come la
città del Cifrondi per antonomasia), intratteneva rapporti con gli altri artisti
bergamaschi: coi Fantoni (una lettera, purtroppo senza data, conservata nell
Archivio Fantoni di Rovetta, attesta che il clusonese inviava a Rovetta "una liretta
di cioccolata ... buona Come V.S. ne vedrà leffetto"), col Brina, con lo
Scarpetta, col Caniana e forse anche con Fra' Galgario. E proprio della figlia di Antonio
Mara detto lo Scarpetta, Matilde, sarà testimone di battesimo il 7 gennaio 1713 (v.
Regesti). Intensi dovettero essere anche i rapporti col mercante darte Francesco
Bruntino e con Carlo Antonio Tavella, come sappiamo da alcune lettere (1705-06) del
genovese allo stesso Bruntino. "Passato poscia in casa Zanchi nellanno
1712" - è ancora il Tassi che racconta - "cominciò le grandiosissime opere
delle quali è ripieno tutto quel loro nobile appartamento di Campagna, che hanno nella
terra di Rosciate; e quivi per quattro e più anni sempre dipingendo si trattenne"; e
il biografo descrive minuziosamente una ventina di opere. Una decorazione integrale che
copriva, oltre ai soffitti e alle pareti, anche le sovrapporte (e le porte stesse: v.
scheda 144) e "gli angoli vicino alle porte e alle finestre". Una decorazione
rimasta intatta fino a pochi decenni fa e oggi purtroppo smembrata e in parte degradata:
ma di cui ci restano - in immagini fotografiche - abbastanza elementi per segnalare da un
lato la scarsa qualità di alcune figure, dallaltro la nascita - proprio in questo
ciclo - di nuovi stimoli e nuovi interessi per una pittura di genere che analizzeremo
meglio nella Critica: cui pure demandiamo la segnalazione di una vera e propria crisi nei
riguardi della pittura sacra e chiesastica, che era probabilmente iniziata alcuni anni
prima e che durò fino agli anni venti inoltrati. Basti in questa sede ricordare che la
decorazione della Villa di Rosciate era completa comprendendo soggetti storici (Storie
di Alessandro Magno, purtroppo perdute, ecc.), soggetti mitologici, soggetti sacri,
ritratti ed autoritratti, scene di caccia, figure "di genere". Alcune di queste
ultime (oggi in collezioni cremonesi) ho potuto ricollegare al ciclo di Rosciate in base
alle accurate descrizioni che esistono delle sale della villa. In quegli stessi anni del
resto il Cifrondi dovette dedicarsi anche allesecuzione di dipinti di cavalletto: lo
prova una lettera del 29 settembre 1716 inviata a Milano allingegner Giovanni
Rogieri per vendere alcuni quadri (Baradello); lo prova un altro documento - senza data,
ma appartenente al secondo decennio - con un elenco di dipinti inviati sempre a Milano (al
sig. Medolago) tra cui sono indicate Campagne con neve e figure di animali (Berte).
Tra la fine del soggiorno a Rosciate (in cui, secondo il Tassi, il pittore alternava il
lavoro alle cacce e alle scampagnate) - soggiorno che possiamo indicativamente ritenere
concluso intorno al 1715-16 - e il 1722 (anno in cui sono datati gli Apostoli
bresciani), non abbiamo alcuna notizia sicura nè sulle vicende nè sulle opere eseguite
dal clusoncse. Anche il momento del suo trasferimento a Brescia resta un mistero (così
come le ragioni che io provocarono). Da un lato il Tassi, con un altro brusco salto, passa
improvvisamente a parlare di quel soggiorno come di evento degli anni estremi
("Portatosi finalmente in Brescia, dipinse ... e nella Chiesa e Monastero de' Santi
Faustino e Giovita, ove gli convenne lasciar la spoglia mortale lanno 1730");
dallaltro alcuni studiosi - a partire dalla Calabi - fissano a caso il 1725 come
anno dello spostamento. Ma il recente ritrovamento (1980) della data 1722 per la serie dei
grandiosi Apostoli di S. Giuseppe a Brescia non solo smentisce lipotetica data del
25, ma suggerisce addirirtura di arretrare ulteriormente (al 1720, o addirittura tra
il 18 e i120) la sua andata a Brescia: anche in considerazione della quantità
di opere private di cavalletto che stanno tornando alla luce a Brescia (o che sono di
sicura provenienza bresciana). Ma quali furono le ragioni dellapparentemente
immotivato trasferimento? E difficile dare una risposta sicura ma certo pesarono
sulla sua decisione da un lato il già ricordato imbarazzo per certe commissioni auliche
chiesastiche, e forse un certo disagio per lambiente culturale e pittorico
bergamasco; dallaltro la consapevolezza - dopo le prove di Rosciate - di potersi
dedicare quasi esclusivamente a dipinti di misure più modeste e di soggetti più
accostanti: figure di Vecchi, figure esprimenti "sentimenti" o
"situazioni", paesaggi, e forse anche quelle nature morte che sono ancora tutte
da scoprire. Ritengo infatti (ma è unipotesi assolutamente soggettiva) che,
interrotto o concluso il soggiorno a Rosciate, il Cifrondi abbia atteso e poi colto al
volo unoccasione simile: e di unidentica ospitalità in una casa signorile,
anche se le fonti non parlano chiaramente, si può trovare traccia proprio nelle rapide
parole finali del Tassi: "...ed altre opere (a Brescia) fece in pubblico ed in
privato, e specialmente in casa Bargnani...". Penso cioè che, prima dell'estremo
rifugio nel monastero di S. Faustino, il Cifrondi sia stato abbastanza lungamente ospite
dei Bargnani di Brescia per loro eseguendo forse in gran numero i Vecchi, le Stagioni,
i Mestieri. Se questa ricostruzione è esatta e pur senza eliminare del tutto la
possibilità che il pittore abbia continuato a esaudire da Brescia qualche committenza
chiesastica della bergamasca rimasta in sospeso, il periodo bresciano dellartista si
configura come un decennio in cui la committenza privata prevalse di gran lunga su quella
pubblica. Oltre agli Apostoli di cui si è detto (e alla cui esecuzione probabilmente fu
quasi obbligato, dal momento che la chiesa di S. Giuseppe era protettrice degli
artigiani), pochissime sono le opere sacre degli ultimi anni: tra esse, non datate ma
presumibilmente databili agli anni estremi (dopo il 25?), le due tele di Botticino,
eseguite per una chiesa che dipendeva direttamente dal Convento di S. Faustino, suo ultimo
rifugio. Sfortunatamente non abbiamo alcuna opera datata tra quelle profane: ed è
pertanto assai difficile cercare di dare uno svolgimento interno alla splendida galleria
di personaggi solitari e disperati cui il Cifrondi affidò il meglio di se stesso.
Allestremo periodo della sua attività dovettero appartenere certamente anche quei
"vari ritrattini piccolini ed altre teste in rame in tela e sopra lasse"
(alcune delle quali credo di avere identificato) citate in una distinta di mobili e quadri
stilati dallo stesso pittore poco tempo prima di morire (porta la data 1730) e intitolata
"Inventario di tutte le robe che mi ritrovo io Antonio Cifrondi nel Refettorio del
monastero di S. Faustino e Giovita tanto di pitture quanto daltre robe". Del
documento (oggi introvabile) il Baradello riporta alcuni brani che fanno luce sulle
abitudini tarde del pittore: poneva a tutti i dipinti "il numero segnato dietro il
quadro...", teneva un registro in cui erano segnalati "li interessi de' quadri
fatti e venduti". Antonio Cifrondi morì a Brescia il 30 ottobre 1730, e fu sepolto
nella chiesa dei Santi Faustino e Giovita (della sepoltura oggi non resta traccia). Il
giorno precedente aveva fatto testamento (v. Regesti) a favore dei due fratelli
superstiti, Ventura e Giovanna. Ventura rimasto solo e povero (forse era vissuto con
Antonio fino agli anni estremi?), andò a riscuotere gli ultimi crediti del fratello - un
documento inedito del 31 concerne un dipinto "di San Lione fatto dal mio deg.mo
fratello Antonio Cifrondi" - e svendendo i dipinti ereditati: "Molte sue opere,
e particolarmente delle piccolc divozioni restarono al fratello Ventura dal quale per i
domestici bisogni furono in breve a vil prezzo vendute" (Tassi : 1a sorella Giovanna
morì il 22 maggio 1740 "plena morbis annis ac paupertate". Il Cifrondi, per
quanto è dato oggi saperne, non ebbe labitudine di firmare spesso le sue opere (ma
è più che probabile che, in seguito a restauri, vengano in futuro riportate alla luce
altre frrme: la maggior parte dei suoi dipinti sono infatti anneriti oltre che in cattive
condizioni): la forma preferita fu "A. CIFRONDI P."; in due casi (v. schede 28,
86) usò la forma dialettale "SIFRONDI P.": solo il S. Pietro di Brescia (a
tergo) presenta la forma più aulica "ANT.S DE CIFRONDIS BERG.S. PINX.T": forse
perchè era stato insignito del cavalierato o di analogo riconoscimento? Possediamo due
Autoritratti del Cifrondi (e notizia di un terzo; al contrvio non è lui leffigiato
di un Ritratto dipinto da Fra Galgario: v. La critica). Dei due Autoritratti sicuri
uno (proveniente da Rosciate, dipinto su un pezzo d'asse, ricordato dal Tassi in un angolo
accanto a una finestra) rappresenta il pittore con la tavolozza in mano e una strana
berretta bianca in testa; laltro (rin tracciato recentemente in S. Alessandro della
Croce a Bergamo) mostra lartista con un bella giubba rossa intento a ritrarre un
giovane prete (il curato di S. Alessandro il fratello minore Francesco?). In ambedue il
pittore si raffigura grosso di lineamenti e con un leggero sorriso che gli increspa le
labbra. Ironia? Autoironia? Che il carattere del Cifrondi fosse "faceto" è uno
dei leit-motiv delle biografie antiche del pittore: P. Locatelli ci gioca addirittura
intere pagine. Ma già il più documentato Tassi parlava di "allegra e faceta
conversazione del Zifrondi", di "racconti di alcuni lepidi avvenimenti che ne'
suoi viaggi gli erano accaduti", della scommessa fatta a Gandino di dipingere una
tela intera durante il Vespro e, terminata la prova, dello "smascellarsi dalle risa
per aver preso a gabbo chi di prodigiosa prestezza non lo credeva valevole". Al di
là degli aneddoti e delle tinte un po' calcate - comuni a tutte le biografie - qualcosa
di vero dovette esservi: non fossaltro la battuta pronta e tagliente come le sue
pennellate. Ma non si dimentichi che - fatta eccezione per i giovanili Popolani di
Lovere, del resto un po' ebbri - nessuna delle sue figure riesce mai a sorridere (nè
tantomeno a ridere o a ghignare come in un Todeschini). Salvo lui stesso nello specchio
dei due Autoritratti. E salvo il Vecchio mendicante e povero (v. scheda 35)
che tiene in mano lamaro cartiglio "Risu omnia digna".