Corriere della Sera 05 dicembre 1923
Fra le rovine del disastro del Gleno
Una visita alla diga fatale - L'infaticata opera di soccorso

Dove scaturì la tragedia

Dezzo, 1 dicembre, notte.
I valligiani che salgono da Dezzo verso il Gleno tornano mormorando: “Non c'è più la nostra valle. C'è un paese nuovo”. Sono stupefatti, si sentono stranieri in casa loro. Rivedono le loro vecchie case inquadrate da una nuova cornice.
L'occhio dell'estraneo cerca e fissa lo spettacolo del dolore umano, conta le vittime, penetra nelle case fatte grigie dalla poltiglia; ma non soffre per lo strazio inflitto alla natura. Il montanaro, che ha perduto case, parenti e bestiame, sente anche questo dolore.
Sotto Dezzo la vallata si allarga per ricevere il torrente Povo che scende dalla valle di Gleno riversandosi nel torrente Dezzo, che scende dalla Val di Scalve. Il piano della conca è tutto ricoperto da una coltre compatta, bruna, quasi levigata di fango; è una crosta solida, alta un metro, che ricopre e livella i sassi del fondo e sulla quale si posano centinaia di tronchi d'albero strappati dai fianchi della valle del Gleno.
Un basso sperone, a prati e rocce sfioranti, chiude l'entrata della valle di Gleno e lascia solo uno stretto passaggio attraverso il quale scorreva cantando il torrente. La valanga vorticosa e furiosa scendendo entrò nel passaggio e scavalcò il bastione naturale, che è ora tutto cosparso di fango, di massi, di detriti.

Paesaggi irriconoscibili

Oltre la strozzatura, la valle di Gleno appare tutta trasformata, arcigna, nuda. I suoi fianchi sono stati profondamente scavati, bucati e scorticati. Spariti i prati per centinaia di metri, spariti i boschi, un ampio e desolante anfiteatro di massi sostituisce le verdi rive. Tra i detriti e le rocce appaiono grosse armature di ferro contorte; sono i residui delle armature di calcestruzzo trascinate giù con le rovine della diga.
Davanti a Bueggio lo spettacolo è tristissimo. Poco sotto il paese c'erano un molino e una centrale elettrica. Nessuna traccia esiste dei due fabbricati. Un cumulo di pietre segna le loro rovine. Sulla riva sinistra i sostegni di ferro della linea aerea sono disarticolati e contorti come fili d'erba. Fra i cumuli di sassi, i primi accorsi da Vilminore hanno praticato un passaggio che attraversa la nuova valle scavata dalle acque, e con scale e tavole si sono inerpicati a Bueggio. Da questo gruppo di case, piccola frazione di Vilminore, lo sguardo si alza verso la gola del Gleno. L'acqua, che scendeva riunita in una grossa vena fra i prati, scivola ora su enormi lastroni di roccia messi a nudo. Bueggio, com'è noto, fu il primo paese che vide giungere e subì l'urto della colonna liquida, tumultuosa e ruggente entro le strette pareti che la contenevano. La chiesa, il cimitero e una casetta, che erano i più vicini all'orlo della valle, furono strappati di schianto. Del cimitero rimangono le tombe, della Chiesa, non vi sono che un gradino e le lastre del pavimento.
Fra le pietre divelte volarono via due corpi umani: quello di un giovane che era salito sul campanile per regolare l'orologio e quello di una ragazza che stava pregando nella chiesa. In un baleno tutte le case furono colmate di fango. Qualche fuggiasco stramazzò nella corsa e fu divorato. In un cascinale entro la valle stava un contadino con dodici capi di bestiame: casa, uomo e animali furono travolti insieme.
Mentre le squadre di operai svuotano le case dal fango, i pochi abitanti della frazione guardano verso l'alto e chiedono ai radi visitatori che cosa resti ancora “lassù” nel piano di Gleno, della diga fatale.

Che cosa resta dell'impianto

Lassù salgono ogni giorno piccole comitive di tecnici e qualche operaio. È salito oggi uno dei titolari della ditta Viganò, che era a Vilminore quando passò sotto ai suoi occhi la paurosa ondata. Egli giunse alla diga ieri sera e stamane ha rinnovato per due volte la visita col progettista ingegner D'Angelo.
Vi è salito oggi anche l'ispettore superiore del Ministero dei Lavori Pubblici commendatore Rampazzi, che è stato incaricato di coordinare tutte le opere di ricostruzione e di constatare le origini del disastro. Erano con lui l'ingegnere capo di Bergamo, Zanchi, e due ingegneri del Genio civile.
La piccola comitiva si è inerpicata rapidamente sulla gran dosso dal quale scende la “condotta forzata”, lunga 500 metri. Dal dosso parte una strada che conduce poi alla diga. Nella notte era nevicato e la grande mole squarciata era bianca sul coronamento. Intorno, un cerchio di alte cime dominate dal Gleno componeva un paesaggio invernale tutto bianco e azzurro. Dietro la grande spaccatura si intravedeva il laghetto alpino che raccoglie le acque alle quali il “tampone di fondo” impedì di precipitare.
L'alta muraglia formava un leggero arco teso fra due massicce pareti di roccia che si fronteggiavano a 180 metri di distanza. Davanti una fitta serie di piloni guardava la valle, dietro si appoggiava ai piloni una successione di grossissime volte cilindriche. Sopra i piloni si rincorrevano gli archi. L'opera industriale non mancava di solennità architettonica.
Un enorme vuoto di 70 metri interrompe ora la curva. Dal lato destro due piloni si appoggiano alla montagna, ancora intatti. La vasta ferita è stata netta: il fianco del pilone superstite è liscio e mostra le striature regolari del cemento armato. Dal lato opposto, presso il quale avvenne il primo crollo, una mezza volta è ancora in piedi, e alcuni grossi brandelli di cemento pendono dal suo fianco, trattenuti da armature di ferro. L'altro pilone che le fiancheggia è screpolato largamente.

Le rapide fasi del crollo

Il guardiano della diga, Francesco Morzenti, di 36 anni, ripete ai visitatori il racconto già noto: mentre cercava scampo, poté vedere, unico testimone, lo spettacolo terribile. Il quattordicesimo pilone si aprì, si divise; ma le acque non sgorgavano ancora. Poi il pilone si spostò, e infine lasciò il passo alla valanga liquida. In pochi minuti nove piloni si abbatterono, si curvarono sotto la pressione del bacino che si svuotava. Il guardiano, salvatosi dietro un masso, calcola che il lago si sia scaricato in due ore.
Questo il tragico epilogo di un'opera che richiese quattro anni di lavoro, fra le asprezze della montagna, da parte di 600 muratori e carpentieri, mentre altri 400 uomini preparavano le lunghissime condotte forzate, le centrali, i fabbricati e i ponti. L'anno scorso la diga era ancora a metà costruita quando il bacino poteva funzionare. In cinque mesi diede da 6 a 7 milioni di kWh alle fabbriche bresciane. I lavori, ormai quasi ultimati, erano stati assunti dalla ditta Vita & C., che aveva compiuto anche quelli della diga sul torrente Scoltenna, nell'Appennino emiliano.
L'ispettore ministeriale esaminò la diga da ogni lato, interrogò il progettista, il guardiano, poi ripartì. Scendendo si incrociò col giudice istruttore avvocato Pace che saliva da Bergamo a Gleno coi due periti: il professor Ganassini del Politecnico di Milano e il geometra Barone di Bergamo. Scendendo i tecnici ritrovarono i loro uomini disseminati nei lavori di ricostruzione.
Il Ministero ha deciso che le strade e opere provinciali siano riparate dalle Province di Brescia e di Bergamo. Dal canto suo il Governo provvederà ai restauri della strada nazionale della Val Camonica. Il torrente Dezzo, sboccando nell'Oglio, ha formato un enorme cono di defenzione e si è aperto un nuovo corso che minaccia l'abitato e deve essere deviato con spese ingentissime.
La Provincia di Bergamo ricostruirà due tratti della Via Mala, uno dei quali su roccia asprissima: ricostruirà inoltre il tratto di strada fra Dezzo e Vilminore, per cui sta preparando intanto una mulattiera provvisoria. Infine dovrà rifare due ponti. L'onere di questi lavori è di 1.300.000 lire.
Con gli operai e la Milizia nazionale, che ha lavorato pure attivamente, si sono impegnati oggi nei lavori di Dezzo i soldati di una compagnia del Genio pontieri che sono giunti stamane con due ponti volanti, i quali verranno gettati nei pressi di Dezzo.
La fraterna gara dei soccorritori ha portato nuovi tributi: due camion della Croce Rossa e dell'opera Bonomelli di Bergamo hanno recato indumenti che sono stati distribuiti alle famiglie con l'assistenza del parroco. La Prefettura di Bergamo ha mandato viveri.
Infine sono state vuotate le camere mortuarie provvisorie. Chiusi in rozze bare e caricati su camion, i cadaveri sono ripartiti senza corteo e fra un silenzio desolato verso i due comuni di Colere e di Azzone.
A. Ceriani

Il pietoso pellegrinaggio dei parenti alla ricerca delle vittime

Darfo, 1 dicembre, notte.
Gli uffici telegrafici sparsi intorno alla valle di Dezzo ricevono di ora in ora dispacci di famiglie e persone lontane che invocano notizie su congiunti che risiedevano nei luoghi del disastro. I superstiti, i sindaci e i parroci rispondono trasmettendo laconiche formule in cui sfilano in gran parte nomi di scomparsi. Assai raramente figurano nei telegrammi le parole “salvo, incolume”. Questo tragico colloquio attraverso lo spazio cominciò all'indomani del disastro e si estese, in un ritmo sempre più febbrile, anche a paesi d’Oltralpe, essendo l'emigrazione largamente praticata nella valle colpita.
Poiché i giornali riferirono subito che le salme erano state in maggior numero recuperate nel letto dell’Oglio, dove si sperse la valanga d'acqua, i parenti che accorrono da lontano si dirigono per lo più nei paesi lungo il fiume per peregrinare da una camera mortuaria all'altra.
I treni che da Brescia e da Rovato salgono lungo il lago d'Iseo recano da due giorni passeggeri che si riconoscono a vicenda per le loro domande ansiose, per il loro aspetto dolente. La comune sventura li avvicina immediatamente. Si scambiano le loro notizie, si mostrano reciprocamente telegrammi. Uno narrava, stamattina, che il primo dispaccio a lui pervenuto parlava di un fratello “ferito”. Purtroppo si trattava, come seppe dopo, di un errore di scrittura. Il fratello era “perito”.
Gli abitanti della Val Camonica che viaggiano sul treno vengono avidamente interrogati, sulle circostanze più minute, dalle famiglie in cerca dei loro parenti. Sono insistenti soprattutto coloro che non ebbero neppure un dispaccio e che ignorano se li aspetti una grande gioia o un tremendo dolore.

Angoscia di congiunti

Quando il treno, risalendo il lago, giunge allo specchio di Lovere, in cui l'Oglio sfocia, i viaggiatori si affollano ai finestrini per osservare la distesa d'acqua ricoperta di minutissimi oggetti galleggianti, briciole della catastrofe. E sopra tutto fissano le varie barche da cui i pescatori rastrellano il fondo con uncini per ripescare i cadaveri. Allora gli occhi degli astanti si inumidiscono. Qualcuno piangendo provoca una crisi di lacrime nei vicini. E tutti pensano la stessa cosa: “Forse chi cerchiamo è in fondo a quelle acque”.
Stamane il treno giungendo a Pisogne ha caricato quattro casse funebri vuote, che un falegname spediva a Darfo. Mentre i facchini consegnavano i “colli” al bagagliaio vari passeggeri sono scesi e terra, urlando ognuno un nome, come avessero la certezza assoluta che i feretri contenevano le salme cercate.
Il treno, ripartendo, ha attraversato la pianura della Val Camonica, chiusa tra alte montagne, una pianura che, scomparsa l'acqua dell'inondazione, ora si presenta come un campo di battaglia: barricate di tronchi e sterpi, e tutti gli alberi curvi in avanti, come combattenti all'assalto.
A Darfo la linea ferroviaria cessa di funzionare per 300 metri. Il treno si arresta dinanzi alle prime case e un grosso ponte di legno, gettato tra i binari e la strada carrozzabile, accogliere i passeggeri i quali, se vogliono proseguire per Edolo, devono attraversare a piedi il ponte sull'Oglio e raggiungere l'altro treno che aspetta alla stazioncina di Casino Boario. Si apprende intanto che la passerella costruita dai pontieri e dalle camicie nere bresciane alla confluenza del Dezzo con l'Oglio è stata travolta dalla violenza delle acque. Cosicché le comunicazioni tra le due frazioni superstiti di Corna sono nuovamente interrotte. Fervono però già i lavori per il ripristino della passerella.

Una serie di mesti cortei

La maggioranza dei passeggeri non va oltre Darfo: tappa estrema del loro viaggio doloroso. Qui poi comincia il pellegrinaggio dall'una all'altra camera mortuaria. Oggi non occorreva dirigersi all'ospedale o alla Cappella del Sacro Cuore per contemplare la distesa delle vittime, poiché durante l'intera giornata hanno incrociato funerali d'ogni sorta e con tutti i mezzi di locomozione.
Poiché le autorità avevano permesso ai privati di ritirare le salme riconosciute, ecco che i cortei sono sfilati da Lovere, sul lago, ad Angolo, tra le gole delle montagne, da Artogne a Darfo sull'Oglio. Certe famiglie si sono portati a casa i loro morti, anche se il luogo era lontano, caricandone i feretri su carrozze da passeggio, quando nessun altro veicolo più adatto era reperibile.
I cortei erano brevi e frettolosi, passavano sopra strade infangate, sparse di buche, e imbiancati di calce, tra segni di rovina e di rinascita, fra l'attività dei braccianti che vanno sostituendo i militari per espellere il fango dalle case, e i tentativi di certi esercenti per mettere in funzione il loro negozi. I funerali alla spicciolata passavano innanzi a negozi affollati di clienti. Però c'è stato oggi un funerale che per un momento ha interrotto ogni attività e ha fatto piegare tutte le fronti. Passavano le salme di due ragazzine, una di 12 e l'altra di tredici anni, entrambe figlie di un ferroviere di Corna, e morte mentre imparavano a cucire in una sartoria. Le due “piccine” vivevano sempre insieme e insieme sono state tumulate nel cimitero di Darfo.
I sacerdoti sono chiamati in questi giorni contemporaneamente in vari punti per impartire le benedizioni estreme agli estinti. Ogni tanto le campane suonano rintocchi funebri. Le pause significano che dal saluto a una salma i bronzi passano a un altro saluto. E questi riti funebri avevano oggi una cornice sin troppo luminosa: stonava con tanta tristezza e col ricordo troppo recente del flagello lo spettacolo dei monti fulgidi di neve e di sole, delle vallate serene e del tramonto infuocato sul lago.
Mentre cadeva il sole, si avviavano per la Via Mala quei parenti che inutilmente avevano utilizzato la giornata cercando i loro scomparsi nei luoghi più vicini: dalla chiesetta di San Rocco di Artogne alla cappelletta del Sacro Cuore di Corna. Avendo udito che 40 salme di sconosciuti erano esposte nella chiesa di Angolo, i parenti hanno voluto recarsi anche lassù.

Il pauroso fenomeno ad Angolo

Angolo è cinque chilometri sopra Darfo. In questi giorni se ne è parlato poco, perché Dezzo e Corna avevano attratto la prima e più angosciosa attenzione. Eppure Angolo è stato per primo testimone di uno dei fenomeni più impressionanti. Ha visto sorgere a un tratto un effimero e ribollente lago, largo 500 metri e profondo 150, nel bacino che gli si chiude innanzi, precisamente dove la valle del Dezzo si allarga più sensibilmente.
La valle, fiancheggiata prima a sinistra poi a destra dalla Via Mala, è paurosamente torva alle estremità. Nel mezzo invece è morbida di linee e di colori ridenti su cui spicca la massa nevosa della Presolana. In questa conca, a mezza costa, Angolo schiera le proprie casucce.
150 metri sotto scorre il Dezzo, per utilizzare le acque del quale era sorta in questi ultimi anni, a contatto del torrente, una prosperosa frazione costituita da due mulini, una segheria, un'officina meccanica e altri piccoli stabilimenti. Chissà perché questo supplemento industriale di Angolo era soprannominato, in dialetto, “Ful”.
Sabato mattina la valanga d'acqua, dopo aver travolto le soprastanti centrali elettriche, i carrettieri e i pedoni che erano per strada e il cimitero di Mazzunno, sboccò nel bacino di Angolo, sommerse il quartiere industriale e si alzò per 150 metri formando un momentaneo lago. Benché collocato a mezza costa, il paese di Angolo fu sfiorato dalle acque e le prime case subirono allagamenti.
Il rigurgito della valanga di acqua fu causato dal fatto che dopo il bacino di Angolo la valle si stringe improvvisamente e si sprofonda. Una spaccatura tra le rocce procede da Angolo fino allo sbocco. All'inizio di questa fenditura passano due ponti che le acque sgretolarono per proseguire quindi nell'abisso roccioso, tutto sporgenze e massi. L'urto della colonna d'acqua contro le pareti fu così formidabile che in certi gruppi appariscono chiazze e cicatrici gigantesche: tracce di blocchi asportati.
L'indugio momentaneo della valanga d'acqua nel bacino d'Angolo salvò il paese successivo di Gorzone, il quale, benché è posto anch'esso a 150 metri sul fondo del torrente, ebbe lambite solo le prime case dalle onde. Anzi il cadavere di un giovanetto fu deposto ignudo sulla soglia di un alberguccio. Quindi la grande massa di acqua andò a urtare contro l'ultimo baluardo, sul quale sorge il castello di Corna, e a destra del quale il torrente disegna una “esse” per sboccare quindi nella Val Camonica.
In segno di gratitudine per lo scampato pericolo, gli abitanti di Gorzone hanno adornato di fiori i Crocefissi e le cappellette che si incontrano sulla strada che precede e segue il paesetto. Dopo questo pio segno di vita, subentrano quadri di morte. Oltre il ponte di Angolo, sulla cui malcerta arcata ancora in piedi è stesa una passerella, si schiude il bacino, che sembra divenuto un enorme cerchio di sabbia.
Dove era il quartiere industriale del Ful esiste un banco di rena, grandioso come un bastione di grande città. Il 19 morti del Ful sono nelle casette di Angolo, ma è convinzione dei valligiani che sotto il cumulo di melma e di rena lasciato dalla valanga il bacino nasconda un gran numero di vittime rotolate dall'alto.
I parenti delle vittime, risalendo oggi la Via Mala, sostavano nei punti più orridi, in fondo ai burroni, e si chiedevano se i poveri resti dei loro congiunti fossero stati scagliati in quel selvaggio dominio delle rocce e delle acque.
O. Cavara

Cerimonie funebri a Bergamo
I soccorsi del Governo

Bergamo, 4 dicembre, notte.
In città è passato oggi un primo corteo funebre, intorno al quale ha fatto ala l'intera popolazione, esprimendo così la sua profonda pietà per le vittime del disastro del Gleno. Una sola famiglia ha visto trasportare al cimitero otto suoi membri, tra cui una madre come sei figli. Si tratta della famiglia Cattaneo-Passera. Le salme sono state trasportate nella chiesa di Borgo Santa Caterina e poi al cimitero, e visitate da una infinità di gente. Il dolore dei familiari è indescrivibile, per quanto sia per essi motivo di qualche sollievo l’aver almeno ritrovato i resti dei loro cari e potuto dare loro degna sepoltura.
Gli episodi di pietà si susseguono e si intensificano, a mano a mano che, passato il primo sbalordimento, il pubblico si va a rendendo conto della enormità delle sciagure e delle urgenti necessità dei sopravvissuti. In città e nella provincia a sorgono continuamente nuove iniziative e si formano comitati per i soccorsi e per le sottoscrizioni.
La sezione locale dell'associazione nazionale alpini, invitando tutte le sezioni consorelle a inviare oblazioni per le popolazioni colpite, tra cui sono molte famiglie di ex-alpini, ha votato un primo versamento di lire 500.
Il prefetto, d'accordo con le altre autorità, procederà subito alla fusione di tutti i comitati di soccorso, formandone uno provinciale, al quale tutte le associazioni, gli enti e i privati dovranno far capo. È necessario infatti disciplinare le generose iniziative perché esse riescano prontamente efficaci.
Stamane per il Dezzo sono partiti i mutilati, i quali hanno portato cestini di viveri ai superstiti del disastro. Nel pomeriggio sono pure partiti i militi e infermieri della Croce Rossa, che, com'è noto, ha piantato nei luoghi devastati ospedaletti da campo. Alcuni feriti sono giunti anche a Bergamo. Fra questi è il parroco di Bueggio, don Rota. Fra le sottoscrizioni di enti va notata quella della Commissione Reale della Provincia, la quale ha, come primo versamento, erogato 200.000 lire. Il Governo, a mezzo dell'onorevole Finzi, ha rimesso al prefetto 75.000 lire. Stamane è partito per i luoghi del disastro il procuratore del Re col giudice istruttore per l'inchiesta giudiziaria. Le polemiche sulla costruzione della diga dei Gleno si vanno intensificando, e alcuni tecnici richiamano ora alcune discussioni pubbliche fatte allorquando si iniziarono i lavori.
Notizie giunte da Lovere, sul lago d'Iseo, informano che la parte del paese prospiciente il lago è ridotta a un magazzino di legnami e rottami d'ogni genere. Il sindaco ha pubblicato un manifesto che incita la popolazione a consegnare entro dieci giorni gli oggetti recuperati.
Per giovedì è annunziato un solenne ufficio funebre nella cattedrale di Bergamo in suffragio delle vittime. Commemorazioni alle vittime sono avvenute anche al Tribunale, dove sono state rinviate le udienze in segno di lutto. Alla Commissione Reale della provincia sono giunti e continuano a giungere telegrammi di solidarietà da tutta l'Italia.

Il ritorno del Re a Roma
L'inchiesta ministeriale sul disastro

Roma, 1 dicembre, notte.
Stamane alle 8.25, reduce dai luoghi del disastro bergamasco-bresciano, ha fatto ritorno a Roma, in forma privatissima, il Re, accompagnato dal suo primo aiutante di campo generale Cittadini e dal sottosegretario all'Interno onorevole Finzi. Il Sovrano si è subito recato a Villa Savoia.
Un'ora dopo ha fatto ritorno a Roma anche il ministro dei Lavori Pubblici onorevole Carnazza, il quale è stato ricevuto alla stazione dal sottosegretario onorevole Sardi e da alcuni funzionari del suo gabinetto. A coloro che gli domandavano una sua impressione, l’ha compendiata in una frase: “Tutto è perduto. Tutto da rifare”. Egli si è subito recato al suo Ministero e di lì, poco dopo, si è recato a Palazzo Chigi, dove ha conferito con il Presidente del Consiglio. Il ministro dei Lavori Pubblici attende ora i rapporti dei funzionari incaricati dell'inchiesta per poter valutare i danni; in mancanza di questi rapporti ogni calcolo in proposito sarebbe prematuro. Intanto si esprime al Ministero viva soddisfazione per l'opera compiuta dal Genio civile sui luoghi del disastro: esso ha riattivato le comunicazioni ed ha provveduto al ripristino dei mezzi di trasporto, mentre a quanto altro poteva occorrere hanno sopperito assai lodevolmente le autorità locali, amministrative e tecniche e gli organi fascisti.
L'inchiesta ministeriale dovrà stabilire anche le eventuali responsabilità. Al riguardo, la Tribuna scrive: “Negli ambienti ufficiali abbiamo avuto conferma che la Ditta, di fronte ai vari progetti che furono ad essa sottoposti dai tecnici, avrebbe preferito quello che era inspirato ai concetti di più stretta economia; cosicché l’aver adottato nell'esecuzione tali criteri e l’aver condotto innanzi i lavori con fretta forse eccessiva sarebbero fra le cause non ultime del disastro”.
Il sottosegretario onorevole Finzi, poco dopo il suo arrivo a Roma, si è recato a Palazzo Chigi, dove ha avuto egli pure un colloquio con l'onorevole Mussolini, durante il quale ha fatto al Presidente del Consiglio la relazione sul suo viaggio. Dopo questo colloquio, l'onorevole Finzi, interrogato da un redattore della Tribuna, ha detto di aver espresso al prefetto di Bergamo l'opinione che fosse necessario, soprattutto, far convergere gli sforzi nella raccolta di viveri e mezzi di protezione per i superstiti, in uno sforzo unico e veramente efficace.
“La catastrofe - ha poi aggiunto - è stata così completa, specialmente nei primi chilometri di percorso dalla valanga d'acqua, che nulla per ora c'è da fare, poiché dalla plaga disgraziata sono purtroppo completamente spariti uomini e cose”.
Dopo aver accennato ad alcune supposizioni circa le cause del disastro, il sottosegretario ha concluso:
“Il Re, di fronte alla tragica immensità della completa rovina, ebbe parole di pietà e di commiserazione per i pochi feriti superstiti, ed espressi i suoi sentimenti di solidarietà, di affetti di condoglianza ai sindaci dei vari paesi, venuti ad ossequiarlo insieme con gli esponenti delle popolazioni rimasti miracolosamente salvi.
“Ovunque egli passava in mezzo alla tragedia i salvati dalla strage lo guardavano quasi con occhi increduli e lo salutavano con applausi sentendo che il Sovrano portava loro l'affetto di tutta Italia”.
Alle interrogazioni presentate dall'onorevole Belotti e dal senatore Romanin Jacur, se ne aggiunge oggi un'altra del senatore Mengarini al ministro dei Lavori Pubblici “per sapere se risponde a verità la notizia che il crollo della diga di Gleno possa essere attribuito a mancanza di sorveglianza delle opere e quali provvedimenti intende prendere per la vigilanza di simili opere, sia già costruite sia in costruzione”.

Le condoglianze dall'estero

Il Governo svizzero ha dato incarico all'ambasciatore a Roma, Wagnière, di esprimere al Governo italiano le sincere condoglianze del Consiglio federale e del popolo svizzero per la catastrofe del Gleno.
A Ginevra il presidente della Commissione dei porti della seconda Conferenza Generale per il transito e le comunicazioni si è fatto interprete di tutte le Delegazioni esprimendo sentimenti di solidarietà unanime per la gravissima disgrazia che ha colpito una fiorente terra italiana. Gli ha risposto il professor Giannini vivamente ringraziando in nome del Governo.
Il presidente del Consiglio municipale di Parigi ha inviato all'ambasciatore d'Italia Romano Avezzana il seguente dispaccio: “La nuova sventura che si è abbattuta sopra una bella e laboriosa regione dell'Italia ha dolorosamente commosso la popolazione parigina. A nome dei miei colleghi e dei miei concittadini prego V. E. di voler accettare vive condoglianze e di manifestare la nostra affettuosa simpatia ai vostri compatrioti crudelmente colpiti”.

Come faranno la diga?
Spiegazioni e ipotesi di un tecnico

Intorno alle possibili cause della catastrofe del Gleno abbiamo raccolto il giudizio dell'ingegner Ferrerio, vice direttore generale della Edison, che con gli ingegneri Forti e Marinoni si recò sabato da Milano a visitare la diga allo scopo di rendersi conto possibilmente delle cause dello sfacelo di un sistema di costruzione che va molto diffondendosi nella pratica idraulica.
- Il tipo di diga ad archi multipli - ha premesso l'ingegner Ferrerio - non è una novità; mentre è da molti anni adottato in America, da noi sul torrente Scoltenna, costruita dalla Società Emiliana di elettricità, ne funziona una da oltre tre anni, ottimamente; un'altra diga, che peraltro non ha ancora funzionato, è stata fatta sul Tirso. Tipo dunque non nuovo e che non presenta alcun carattere di speciale preoccupazione sul suo funzionamento. L'esame dei progetti costruttivi della diga di Gleno ed anche una sommaria osservazione complessiva della costruzione materiale, danno l'impressione di una struttura concepita in modo da affrontare sicuramente la forza cui era chiamata a resistere.
“Non regge, secondo me, l'ipotesi che essa abbia dovuto sopportare eccezionali pressioni d'acqua. La diga ha funzionato, per quanto consta, regolarmente. Ai primi di novembre si è riempita oltre i limiti normali ed una lama d'acqua si è riversata normalmente sullo sfioratore dal quale si scarica l'acqua esuberante. Poi si è ristabilito il livello normale.

Quel che vide un guardiano

“Vediamo come si è proceduto nella sua costruzione: i tipi più comuni di dighe sono cinque: 1. Diga in terra, che si adopera per altezze moderate sul terreno non roccioso; 2. Diga di gravità o a muro, che sbarra la valle ed ha una sagoma che si allarga a mano a mano che si sprofonda; 3. Diga con muratura a secco, che si fa dove la struttura del fondo valle non è rocciosa, ma morenica e si dispongono le pietre della costruzione l'una sopra l'altra senza la malta; 4. Diga ad un arco solo, che chiude una valle che sia molto stretta e costituita di roccia ottima; 5. Diga ad archi multipli che si adotta dove la stretta è rocciosa.
“Quest'ultimo è il tipo adottato per il bacino di Gleno. Primo requisito indispensabile è che i fianchi della Valle siano costituiti di roccia assolutamente sana, perché basta che ceda lo sperone di un solo arco perché le altre parti della diga rovinino come un mazzo di carte. Nel caso specifico la stretta della Valle è effettivamente costituita di roccia, che si presenta come ottima sotto tutti gli aspetti.
“Bisogna rilevare che i costruttori avevano cominciato a costruire una tipo di diga a gravità ed erano arrivati a costruire fino ad un certo punto un muro dello spessore dai 30 ai 40 metri. Arrivati a questo punto è stato mutato progetto e si è pensato di costruire la diga ad archi multipli, il che implica un minor volume di muratura e conseguentemente un risparmio di materiale. Sì è così elevata la vasta serie di piloni che hanno alla base una larghezza di una trentina di metri. Dove non era stato ancora eseguito il tratto di diga a gravità i piloni sono stati appoggiati direttamente sulla roccia; gli altri sono stati appoggiati sulla costruzione precedente. La parte caduta è quella impostata sul tratto di diga a gravità costruito in precedenza.
“È importante, a questo proposito, riferire la descrizione del guardiano della diga. Egli al momento della catastrofe si trovava sotto la diga in corrispondenza della parte centrale che poggia sul tampone a gravità. Ad un certo momento, erano le sette del mattino e quindi quasi buio, a udito come il precipitare di sassi. Ha alzato gli occhi sull'immensa mole ed ha veduto uno degli speroni fendersi longitudinalmente. Allora egli è fuggito ricoverandosi sul tratto di diga impostato sulla roccia: quello rimasto intatto. Si è voltato a guardare, ha visto il pilone centrale cadere, e poi tutta la massa sfasciarsi e l’enorme volume d'acqua precipitarsi da una bocca d'una sessantina di metri.

Ipotesi da esaminare

“Quali possono essere state le cause determinanti? Non si possono attribuire al tipo di costruzione: tipo, come si è detto, già esperimentato con ottimi risultati, che si presta a calcoli di sufficiente approssimazione e che nel caso specifico si presenta come una concezione non azzardata, ma cauta. Le ipotesi sono varie. Può accadere che l'acqua trovi modo di penetrare, per infiltrazione, sotto la base (il cosiddetto “tampone”) che regge il pilone. In tal caso l'acqua esercita una pressione dal basso verso l'alto così possente da facilitare il rovesciamento della diga.
“Per premunirsi contro questo pericolo si adottano delle strutture drenanti, e cioè si costruiscono alla base della diga a gravità delle gallerie, o canali, che se l'acqua si infiltra, la portano via evitando quella tale pericolosa pressione.
“Questo sistema di drenaggio nel caso specifico non esisteva.
“Altre ipotesi: la cattiva impostazione di un pilone. Se avviene che un pilone ceda anche solo di qualche centimetro, questo cedimento può produrre la rottura della diga perché, cedendo il pilone, viene a spostarsi la linea di impostatura dell'arco, donde la facilità di rottura dell'arco stesso. Ora il pilone può cedere o per insufficienza di fondazione (donde l'assoluta necessità di poggiarlo su una roccia ottima) oppure per la deficiente struttura esecutiva. Nel caso speciale, tutta la parte della diga impostata sulla roccia ha, come si è detto, resistito. La parte caduta è quella impostata sul “tampone” o base, costruita in precedenza.
“L'impostazione dei piloni sul tampone, è stata eseguita inoltre su un basamento non in calcestruzzo, ma in muratura di pietrame.
“Terza ipotesi: la imperfetta esecuzione dei volti.
“Nel caso speciale, dunque, le ricerche tecniche dovrebbero essere dirette così: 1) sottopressione dell'acqua alla base, cioè sotto la impostazione degli speroni; 2) esecuzione dell'appoggio degli speroni sopra il tampone; 3) ricerca della qualità e bontà o meno dell'esecuzione dello sperone; 4) ricerca della qualità e bontà o meno di esecuzione dei volti.
“A queste indagini particolari, naturalmente, si deve aggiungere l'esame complessivo del progetto esecutivo, il quale, come ho detto in principio, da sommarie osservazioni dà una impressione tranquillante”.

La nomina d'un perito

Su richiesta dell'ufficio d'istruzione del Tribunale di Bergamo il consigliere istruttore del nostro Tribunale, commendatore Montanari, ha proceduto alla nomina di un perito, per accertare le cause del disastro, nella persona dell'ingegnere professor Gaetano Ganassini, insegnante d'idraulica presso il nostro Politecnico.
Il professor Ganassini è partito stamane per i luoghi del disastro dove procederà ai rilievi e ai primi atti peritali.

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