L'Eco di Bergamo lunedì 03 dicembre 1923
La caduta della diga del serbatoio di Monte Gleno produce un'immane disastro in Val di Scalve ed in Valle Camonica
Intieri paesi distrutti - Centinaia e centinaia di vittime - Milioni e milioni di danni

Un fiore tra le lagrime

Doveva essere giornata di festa quella di ieri. E avevano ben diritto i nostri cari mutilati di vedere stretti intorno a sé, in un impeto di amore riconoscente, tutta Bergamo, la bergamasca nostra e l'Italia intera.
Sono venute infatti le rappresentanze di ogni parte d'Italia, ed anche, moltissime, dai punti più lontani della nostra Provincia. Sono venute, in gran parte, ignare della immane  sventura che ha colpito questa industre e buona terra bergamasca in una delle porzioni più elette del suo popolo.
Volevano essere - ieri - gli squilli di fanfara inneggiati alla giornata di bontà piena di luce, senza foschie, senza fremiti di dolore.
Un velo tristissimo, invece, avvolge i cuori e le anime, un velo profondo che neppure l'impeto dell'amore riconoscente nelle ore di gioia profonda per quelli che costituiscono la parte eletta d'Italia - i nostri carissimi, gloriosi mutilati - è sufficiente a spezzare.
L'ondata tremenda di distruzione che è passata su paesi e contrade, pesa come incubo sopra tutti, sopra ciascuno di noi.
La penna ci trema fra mano e segna, a stento le sue linee, intingendosi nel calice amarissimo di una desolazione che non ha confronto.
Della vallata di Dezzo - così bella nel suo orrido, così industre nell'operosità dei suoi gagliardi montanari, a giusta ragione chiamati "esemplari magnifici delle stirpe italiane" - della vallata di Dezzo che cosa rimane?
Che cosa rimane della piccola e ridente conca verde, formante la vallata di Angolo che costituiva al punto in cui si stringeva in un angusto burrone uno dei punti più suggestivi delle Alpi? Che cosa rimane?
Vorremmo dire: "un accumulo di macerie" se la furia tremenda del mostro devastatore non avesse spazzato via le rovine stesse, prima ancora che tempo gli fosse concesso per accumularle.
Fu la più terribile cavalcata della morte, che passò come in una visione di tregenda sugli uomini e sulle cose, per imprimervi le stigme dei suoi macabri, inesorabili trionfi.
Noi inchiniamo la fronte dinanzi a Dio, ed adoriamo - nel silenzio dei cuori angosciati - le imperscrutabili vie della Provvidenza.
Può però non essere senza significato che, proprio nel giorno in cui tutta Bergamo si stringeva, attorno ai suoi mutilati - simboli viventi della più pura fiamma italiana e cristiana - può, diciamo, non essere senza significato che la giocondità sia cosparsa dall'assenzio amarissimo di così orrenda sventura.
Forse non sarebbe stata così piena l'ondata di fratellanza, se solamente le gioie purissime ne avessero formato le liete increspature. Bisognava forse - perché il patto di amistà tornasse più saldo - che venisse cementato dal palpito di un'immane dolore.
I preziosi simboli viventi del dolore che si è rovesciato sulla Patria intera nell'ora della sua più fosca tragedia, - la tragedia di guerra,  - illuminano, del loro bagliore immortale, il dolore che colpisce la nostra Bergamo in una delle più elette porzioni del suo popolo.
Per noi cristiani che abbiamo una fede la quale sa dominare tutte le angosce umane, c'è anche una economia divina del dolore; c'è una confortevole fiducia nella provvidenzialità delle lagrime. Sono le lagrime, invero, il cui misterioso battesimo attraverso il quale l'anima si purifica e si nobilita; è il crogiuolo sublime del dolore che sa a diffondere l'unità spirituale della Patria nella fratellanza più sentita di tutti i suoi figli.
Bergamo doveva essere colpita tremendamente così, perché verso di lei si orientassero tutte le regioni d'Italia che hanno, ieri stesso, mandato a Bergamo, la loro rappresentanza più pura e più sacra.
Nell'ora di una letizia velata di lagrime, Bergamo può e deve diventare il centro irradiatore di una onda purissima di bontà.
Il sole, ieri, dopo le giornate grigie di pioggia instancabile, dopo le raffiche gelate che parevano voler riservare a sé il compito di spazzare la traccia - immensa traccia macabra - dell'orribile rovina, il sole è riapparso.
Ma c'è sembrato ieri il sole nulla più che una mastodontica lampada funeraria accesa da Dio per illuminare la tomba immane in cui sta rinchiusa, - sigillata in pietra, - la vita spezzata di un popolo intero.
Aleggia sulla tomba, - ha avvolto nel suo negro manto, - l'angelo del dolore.
Noi lo riguardiamo con gli occhi in pianto, con l'animo angosciato, ma col cuore aperto alle migliori speranze.
Ovunque arriva il suo raggio, rechi il sole l'anima angosciata di Bergamo e l'angelo del dolore dica a tutti i fratelli italiani che noi avremmo portato con generosità il peso immane della sventura che ci ha colpito, se sui campi macabri della rovina, - irrorato dalle nostre lagrime, - ci sarà dato di veder spuntare il fiore della solidarietà che soccorre, dell'amore che feconda, nella fratellanza che allieta.
S.

In Valle Camonica

Poiché le prime sommarie e confuse notizie di sabato mattina lasciavano credere che un disastro fosse avvenuto a Lovere o nei dintorni, partivano tosto alla volta di quella borgata il nostro Direttore cavaliere ufficiale don Clienze Bortolotti ed il nostro Redattore Capo Cronista signor Presenti Gio. Battista col signor Beretta addetto all'amministrazione del nostro giornale. Prima di mezzogiorno erano già a Lovere; ma ivi appresero che doveva trattarsi della diga del Gleno precipitata e che a Corna ed a Darfo e forse a Casino Boario doveva essersi abbattuto un'immane disastro, perché il lago aveva improvvisamente alzato sensibilmente il livello delle acque e l'Oglio continuava a rigurgitare nel lago alberi, travi, tavole, masserizie, animali morti, ecc., che poi i loveresi rastrellavano sul loro porto. Sapemmo lì che l'Oglio aveva recato nel lago anche delle membra umane; e che già squadre della milizia nazionale, di fascisti e di altri cittadini erano volate in Valle Camonica.
A Ponte Barcotto trovammo i primi segni di una immensa inondazione su tutto il vastissimo piano di Artogne, di Darfo, di Corna ecc. e apprendemmo con raccapriccio che verso le ore 8.30 che un uomo ed una donna, giacenti ancora sopra un materasso, trascinati dal corso dell'Oglio improvvisamente dilagato, gridavano: aiuto! aiuto!; aiuto che purtroppo non fu potuto loro prestare utilmente, onde perirono miseramente nel fiume.

A Darfo

Poichè ancora non era possibile il transito sulla via della sponda bergamasca, e, ancora invasa dalle acque limacciose, passammo il fiume Barcotto ancora lambito dalle acque dell'Oglio che però andavano decrescendo, e constatammo che l'improvvisa inondazione aveva superato anche la sede della ferrovia camuna qua e là sensibilmente danneggiata e più oltre interrotta. Lungo la scarpata della ferrovia, oltre la stazione di Artogne, cominciamo, purtroppo, a trovare i primi cadaveri o pezzi di cadaveri sparsi qua e là lungo le vaste campagne ancora coperte delle acque o da un altro strato di melma, devastate negli alberi, nelle piantagioni, negli argini, nelle cascine. Danni immensi ed immensa desolazione. Trovammo il parroco di Artogne, quasi inebetito dallo spavento e dal dolore, come quasi tutte le persone che incontrammo.
Siamo a Darfo, che presenta uno spettacolo desolante. Tutte le vie ingombre di pantano e di macerie; molte case inondate fin quasi al secondo piano; altre abbattute almeno in parte; le sottostanti campagne ridotte un ammasso ed un avvallamento informe di fango, di sassi, di alberi, di masserizie, di tutto.
Troviamo sul luogo i medici dottor Chiesa di Darfo e Corna e dottor Pennacchio di Esine, intenti premurosamente a far raccogliere i cadaveri ed a curare i non molti feriti, pietosamente raccolti nell'ospedale di Darfo che nulla ha sofferto essendo in posizione elevata. È qui dove ci si conferma che si tratta della caduta della diga del Gleno e della precipitata enorme massa delle acque di quell'immenso serbatoio: dove acquistiamo la dolorosissima convinzione che, quindi, anche alcuni paesi della nostra Valle di Scalve debbono essere distrutti; e dove dall'egregio dottor Chiesa, che ne fu testimonio oculare e che è ancora in preda a visibile orgasmo, sentiamo la terrificante descrizione dello sblocco violentissimo di una enorme montagna di acqua e di macigni dal letto del fiume Dezzo, discendente dalla valle di Scalve e per la via Mala, sopra il paese di Corna e nel sottostante fiume Oglio, e della fulminea sparizione di gran parte del paese di Corna e di parte di quello di Darfo.
Quella narrazione, per quanto tumultuaria, a monosillabi commisti con lagrime, ci riempie l'anima di una indicibile angoscia.
I morti di corna - ci accertano i due medici - debbono sicuramente essere più di 100; e ci dicono le famiglie cui appartenevano, così come furono indicate nella nostra relazione telefonica di sabato. Il dottor Chiesa vorrebbe indicarci anche le loro abitazioni sulla opposta sponda dell'Oglio; ma ahi! Che delle case non vi è più neppure il minimo vestigio: tutto, tutto è stato dalla furia irrefrenabile delle violenti acque, abbattuto, devastato, asportato; e dove era il fiorente paese di Corna, ora non è più che un ammasso di enormi macigni qui trasportati dalle acque devastatrici, che hanno fatto un cumulo di rovine e di vittime umane.
Vorremmo proseguire la via e passare il ponte sull'Oglio tra Darfo e Corna, ma le vie di Darfo sono impraticabili e il ponte è in buona parte crollato con parecchie case ad esso adiacenti: cosicché per portarci sulla sponda bergamasca e giungere dove era Corna - oggi bisogna proprio dire così - ci è giuocoforza ridiscendere al Ponte Barcotto e ripassarlo.
Ne approfittiamo per telefonare a Bergamo dalla trattoria Contessi le notizie che sono apparse sabato su questo nostro giornale e per prendere qualche poco di cibo, così come ce lo consentono le condizioni dell'animo e dello stomaco in preda l'uno e l'altro a spasmodiche contrazioni di dolore e di rimpianto.

A Corna

Sempre insieme coi colleghi Pesenti e Beretta ci avanziamo sulla sponda destra dell’Oglio, sulla strada provinciale che ora incomincia ad emergere dalle acque. Siamo in tenere del Comune di Bessimo; il cui è abitato però è su per la montagna e perciò non danneggiato. Ma le sottostanti campagne, quale desolazione presentano! Ancora in gran parte allagate; ricoperte altre da un altro strato di melma biancastra; gli alberi abbattuti e divelti, le viti e le altre coltivazioni strappate, le cascine rovinate; dappertutto grossi sassi, pezzi di muro, masserizie domestiche ed agricole, animali morti, travi, tavole, tronchi d'albero, e, purtroppo cadaveri ed arti umani qua e la disseminati.
Il pretore di Lovere, avvocato Scaletti, sì è dato la pietosa cura di raccoglierne alcuni e li ha fatti adagiare in parte a monte ed altri a valle della strada provinciale. Che macabro spettacolo! Sono uomini, donne, fanciulli, bambini, quasi irriconoscibili, tutti a pezzi, tutti a brandelli, quasi tutti denudati dalla violenza delle acque, dall'urto dei macigni. Aiutato dai Carabinieri, dai nostri compagni di viaggio e da due bravi giovanotti di Rogno - certi Passerini Battista e Luigi - fa caricare quei miseri resti umani sopra un carro requisito per trasportarli nel Cimitero di Bessimo o di Lovere; noi recitiamo sopra di essi le preci dei defunti e impartiamo la benedizione. È un momento di irrefrenabile commozione.
Ci spingiamo avanti, come meglio possiamo, verso Corna. Troviamo tra i già accorsi in luogo, i rappresentanti della Federazione Provinciale Combattenti di Bergamo, la Croce Rossa e l'Assistenza Pubblica pure di Bergamo e i Pompieri di Gazzaniga. Si sono specialmente distinte le Centurie del Fascio e della Milizia Nazionale di Lovere nei lavori per l'impianto di passerelle, del telegrafo, del telefono, della luce elettrica. Qui già erano state poco prima le Autorità di Bergamo con a capo il Prefetto Cantore, che poi sono corse in Valle di Scalve. Sono in luogo anche le Autorità bresciane, perché il territorio appartiene alla provincia di Brescia.
Siamo a Corna, o meglio siamo sulle rovine di Corna; meglio ancora sul luogo dove già sorgeva Corna e dove nessuno crederebbe che possa essere esistito fino a poche ore prima un intero paese. Non solo non ci sono più le case e gli stabilimenti, ma non si veggono più neppure i muri che le componevano.
Non è poi neppure a parlare di masserizie o d'altro. Enormi macigni, alcuni alti e grossi diecine e diecine di metri, qui accumulati dalle acque precipitatesi dal Dezzo; avvallamenti profondi che non lasciano più immaginare neppure dove potevano essere le vie e le contrade, dov'era il ponte sul Dezzo, ecc. La farmacia, il cinematografo, i bars, le botteghe, le case per gli impiegati e per gli operai dei vicini stabilimenti, lo stabilimento carburanti Baslini & C. ed altri opifici, purtroppo non sono più che un ricordo. Sarebbe difficile segnare con precisione il punto stesso dov'essi sorgevano.
E le vittime umane? Quante sono? Dove sono?
Le notizie da noi pubblicate fin da sabato sembrano corrispondere, purtroppo, ad una dolorosissima realtà. Famiglie intere di terrazzani, di impiegati, di operai, sono scomparse, senza che più nessun membro ne sia rimasto. Ci si narrano episodi pietosissimi, commoventissimi; ma ci manca il tempo per raccoglierli.
Nella cappelletta del Sacro Cuore rimasta in piedi visitiamo pietosamente altri cadaveri e resti di cadaveri che vi sono stati raccolti. Le scene che vi avvengono per parte di alcuni parenti superstiti sono strazianti. Mescoliamo colle loro le nostre lagrime e le nostre preghiere. Vorremmo tentare espressioni di conforto; ma un nodo ci stringe alla gola e ci vieta di parlare: qualche stretta di mano dice loro tutta la nostra solidarietà nell'immenso loro dolore.
Sulle rovine di Corna s'aggira pallido, terreo, cadaverico, cogli occhi gonfi di pianto, il giovane Curato, spendendosi e sopraspendendosi con una generosità ammirabile.
E i superstiti dove sono?
Alcuni si aggirano qua e là sulle rovine mutoli, inebetiti, quasi istupiditi, ancora portando sul viso e specialmente negli occhi le impressioni e quasi le stigmate dello spavento trovato nello scampato pericolo, e della profondissima ambascia che provano per la scomparsa di tanti loro cari. Altri sono stati dai superstiti ritirati nelle poche case rimaste, per prodigar loro quei conforti ed aiuti di cui sono suscettibili nella immensa sventura.

Vittime e danni anche in Valle di Angolo

Troviamo il Sindaco di Angolo Cavaliere Morosini, antica e cara nostra conoscenza, e da lui, che è profondamente commosso, apprendiamo notizie dei danni che il disastro ha causato anche in valle di Angolo, donde egli è disceso poco prima.
La Via Mala, specialmente al disopra di Gorzone e di Angolo, non solo è in gran parte rovinata, ma per parecchi chilometri caduta, con gravissimo danno specialmente per la provincia di Bergamo: cosicché da Valle Camonica non è più possibile salire in Valle di Scalve, se non forse attraverso qualche sentiero di montagna.
Egli ci narra della immane massa di acque, di terriccio, di fango, di alberi, di travi, di muri, di macigni che ha percorso il torrente Dezzo con una vertiginosità impressionante, facendo salire il livello del torrente, già sprofondato tra le due montagne che lo incassano, fino sopra il livello della strada, fin sopra il ponte di Angolo che ne è stato travolto.
L'enorme valanga di acque ha determinato dappertutto sulle due sponde del Dezzo scoscendimenti e danni sensibilissimi.
Le grandiose centrali elettriche che sono sparse lungo il corso del Dezzo sono sparite in un attimo, travolte, coi rispettivi macchinari e tubazioni, dalla violenza delle acque. Parimenti sono spariti così da non rimanerne più vestigio tutti gli altri opifici ed edifici che erano giù lungo il corso dal Dezzo, alimentati dalle sue acque: segherie, mulini, ecc. tutto è scomparso in un baleno.
Le vittime umane fino allora accertate in valle di Angolo erano 15, ma ce ne doveva essere un numero maggiore. Tra esse impiegati e custodi delle Centrali colle rispettive famiglie.
Vorremmo rimanere più oltre sulle rovine di Corna, ma dobbiamo affrettare il nostro ritorno Lovere, per salire a Clusone e di là alla Cantoniera della Presolana e giungere da quella parte in Valle di Scalve, dove ci attende lo spettacolo lugubre di altre immense rovine e di altre parecchie centinaia di vittime.
Intanto è calata la sera ed è sopraggiunta la notte.
Torniamo a tarda ora a Bergamo, lasciando sui luoghi del disastro e della morte il nostro capocronista Sig. Pesenti G. B. e il signor Beretta.
La notte è buia; ma nell'animo nostro vi è un buio più denso ancora: sono le terribili visioni delle rovine e delle morti cui abbiamo assistito e del profondo lutto per tanta sventura!
Gran Dio, quanto sono terribili e imperscrutabili i vostri giudizi!
D.C.B.

In Valle di Scalve
Bueggio rovinato - Dezzo scomparso - Centinaia di vittime - Milioni di danni
Dezzo, 2 dicembre 1923.

Per quanto i giornali faranno e diranno, non riusciranno mai a dare anche solo una pallida idea ai loro lettori dall'enormità del disastro che ha colpito per prima la nostra Valle di Scalve.
È stato un enorme spaventoso, indescrivibile cataclisma; è stata - per usare la frase stessa d'un testimone della tremenda scena - è stata una montagna d'acqua che s'era staccata dal Gleno e che con spaventosa velocità e di immane fragore, si è rovesciata nella sottostante vallata, tutto schiantando e tutto travolgendo: case, centrali elettriche, enormi macchinari del preso di parecchie centinaia di quintali, per la traduzione dei quali eransi già dovuti costruire appositamente pronti e strade - i vecchi non avrebbero potuto reggerne il peso - e che ora sono scomparsi, si sono inabissati, si sono come polverizzati! Sono precipitati con uomini e case; sono stati travolti con blocchi enormi di macigni che sembrano mezze montagne; sono scesi rimbalzando da una sponda all'altra del Dezzo per il tratto d'una quindicina di chilometri; hanno sfondato la gola di Corna e, sboccando sulla piana dell'Oglio già ricca di sonanti officine, vi hanno portato immense rovine e desolazioni.
Impossibile, ripete, dare anche solo una pallida idea del disastro. Io, che pur sono un giornalista con parecchi anni sulla groppa e che di disgrazie e di disastri, per ragioni professionali, ne ho pur visto e descritti parecchi, mai ho visto né udito altra cosa simile.
Giunto ieri sera con l'automobile a Clusone, sono stato letteralmente aggredito dalla popolazione ansiosa di particolari e che mi ha costretto a sostare in luogo, perché in Val di Scalve non avrei potuto trovare né da cenare né da dormire.

Macabre visioni notturne

Ho passato dunque la notte al Baradello; ma avrei potuto anche non sostare e continuare senz'altro il doloroso pellegrinaggio, perché ho passato una notte completamente insonne. Non mi è stato possibile di chiudere occhio. La visione spaventosa di poche ore prima del carnaio umano sul piano di Artogne, di Darfo, di Bessimo e di Corna, in Valle Camonica, mi è danzata ancora, per quanto fu eterna la notte, davanti agli occhi.
Impossibile dormire, mentre i mucchi dei cadaveri gonfi, paonazzi, orrendamente deformati e mutilati che avevo visto in Valle Camonica sulla piana devastata, bianca di melina, mi turbinavano paurosamente davanti agli occhi. Vedevo ancora gli occhi sbarrati di quel ragazzo che sul margine della strada di Bessimo tendeva tuttavia le braccia, protese in uno sforzo supremo di resistenza all'onda travolgente che gli troncava il corpo; vedeva ancora sulla piana di Artogne quella mamma che stringeva al seno il suo bambino di due o tre mesi; vedeva ancora gli archi stroncati deformati, i busti nudi, gonfi, orrendi, fantasticamente seminati, come in una danza macabra, nel freddo livido del grigio e minaccioso piano di morte!
Impossibile dormire: la tragica visione e l'incubo più opprimente stringono forte la gola e premono dolorosamente sul cuore... Non si può dormire!
Dai campanili intorno piovano tutte le ore e sembrano tante agonie. Come dormire mentre tanti poveri morti - quanti? 400 o 500 dai primi calcoli - vegliano intorno con gli occhi vitrei spalancati, mentre tante intere famiglie hanno trovato la morte.
Alle 5, quindi, accorgo come un segno di liberazione la chiamata della cameriera, e filo via in automobile sulla strada deserta verso la Cantoniera della Presolana, dove arrivo ch'è ancora notte. È nevicato. Non si può proseguire. Uno sbarramento di carabinieri impedisce il transito a pedoni ed a veicoli. Ed io sono tra i primi fermati.
Fortunatamente trovo qui all'albergo le varie autorità che vi hanno passato la notte e da esse raccolgo direttamente le prime notizie. Vi sono: il conte avvocato Suardo, l'avvocato Guizzetti commissario di Clusone, (...)

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