L'Italia Quotidiano Cattolico martedì 4 dicembre 1923
Dove la diga di Dezzo ha seminato la rovina e la morte
L'animo e il cuore della Nazione in fraterna solidarietà coi colpiti
(dai nostri inviati speciali)
Carità
Scriviamo ancora sotto l'angoscia del primo istante in cui ci apparve l'immane
sciagura in tutta la sua spaventosa tragicità; scriviamo con la mano tremante,
con la mente turbata, col cuore lassù dove la furia delle acque travolse la vita
e seminò la morte.
Il nostro spirito cristiano che si ribella alla fatalità del destino cieco e
rassegnato al dolore che abbatte, chiede la forza a Quegli che consola, è
portato a vedere, nella nuova terribile prova, l'ammonimento a sentimenti
migliori di bontà e di solidarietà umana. Pare che la natura ribelle voglia
ammonirci ancora dopo tante prove superate affinché ci raccogliamo in noi stessi
e pensiamo, di fronte alla imperiosa maestà della morte padrona del tempo e
della vita, al nulla della nostra superbia, alla vanità del nostro egoismo.
Non è questa né vuole essere una predica.
È il grido cristiano che risponde al grido di dolore dei fratelli colpiti. È
l'eco dei vivi che risponde al silenzio dei morti.
Accettiamo la pena con umiltà e con forza: soccorriamo i colpiti e preghiamo per
le vittime. Un nostro corrispondente che, giunto tra i primi a portare soccorsi,
non lascia per un solo minuto il luogo del flagello ci manda due righe, ora, a
notte alta mentre il giornale sta per essere licenziato. È un grido: "Tutti
siamo al nostro posto: soffrendo e lavorando".
Rispondiamo pronti fiduciosi: "Noi pure". Passi sulle bocche e penetri nei cuori
di tutti una parola sola: Carità.
E si moltiplichi essa nella santa emulazione di fratelli. Si moltiplichi pronta,
larga, silenziosa e con essa e per essa giunga ai disgraziati superstiti tutto
il conforto della nostra piena solidarietà - concreta di soccorsi materiali e
spirituali - nella loro sventura.
La notizia
ufficiale
500 morti
Bergamo, 2 dicembre, sera.
L'entità del disastro provocato dalla rottura della diga del lago di Gleno
appare gravissima. La cifra delle vittime non è ancora definitivamente
accertata, ma si calcola sia di circa 500 complessivamente per i paesi colpiti
dal disastro nelle due province di Bergamo e di Brescia.
Finora sono stati ripescati e dissotterrati dal fango 137 cadaveri, quasi tutti
irriconoscibili. A Darfo soltanto ne sono stati raccolti un centinaio. Presso
Corna la furia delle acque ha travolto 160 metri di binario situato sul
terrapieno, che è andato in gran parte distrutto, ma che ha servito a salvare
buona parte del paese di Darfo, deviando l'impeto della corrente che si è
scaricata più a sud, nel letto del fiume Oglio.
Durante tutta la scorsa notte è proseguito al lume delle torce dei riflettori,
l'instancabile e coraggioso lavoro dei reparti della milizia della UV legione e
dei reparti dell'esercito che hanno dimostrato altissimo spirito di abnegazione
e di fratellanza per le infelici popolazioni colpite dal disastro. Stamane alle
ore 6.30 è giunto a Darfo il console generale onorevole Farinacci, il quale ha
visitato le località devastate ed i feriti ricoverati in numero di 20
nell'ospedale di Darfo. Verso le due è giunto il Generale Cattaneo, comandante
il Corpo di Armata di Milano, ed alle ore EV è arrivato da Bergamo l'onorevole
Bonardi, sottosegretario alla Guerra.
Tutte le autorità hanno avuto parole di vivissimo elogio e di ammirazione
sincera per l'opera prestata dall'esercito e dalla milizia nazionale. Sono
rimasti sul posto durante tutta la giornata il prefetto di Brescia, commendator
Bocchini, il tenente generale Menarini, ed i comandanti della milizia.
I superstiti dell'immane tragedia narrano episodi spaventosi di rovina. La
visione dell'immensa valanga liquida, dei macigni e degli alberi che
precipitavano rombando sull'abitato, spezzando case, boschi e strade, ha
lasciato indebiti gli sventurati spettatori. Innumerevoli capi di bestiame sono
stati trascinati dalla rovina. Massi enormi di parecchi metri cubi sono stati
portati nella valle dell'Oglio. Le autorità sanitarie e quelle del Genio civile
hanno alacremente lavorato tutta la giornata, impartendo disposizioni onde
riattivare al più presto le comunicazioni ferroviarie e stradali con l'alta
Valcamonica. (Stefani).
L'interessamento del S. Padre
Roma, tre notte.
Il Santo Padre profondamente commosso alle prime notizie dell'immane disastro
dell'alto bergamasco faceva tosto telegrafare ai Vescovi di Bergamo e di Brescia
partecipando quanta parte egli prendeva al lutto e al dolore della popolazione
colpita e come dopo di aver subito suffragato le povere vittime desiderava
fossero recate ai superstiti paterne parole di conforto e la Benedizione
Apostolica.
Sua Eccellenza il Cardinale Gasparri così telegrafava:
"Santo Padre, vivamente addolorato gravissimo disastro, suffragato povere
vittime ed, implorando copiosi conforti celesti buone popolazioni, in parte di
gran cuore Apostolica Benedizione ed invia Vostra Signoria primo soccorso 25
mila lire. - Cardinal Gasparri".
Mentre poi sollecitava ulteriori notizie della spaventevole sciagura il Santo
Padre disponeva perché si inviarselo per i primi soccorsi lire 25.000 al
Monsignor Vescovo di Bergamo e lire 15.000 al Monsignor Vescovo di Brescia.
La rovina
Brescia, tre sera.
Ho parlato con un ingegnere di Brescia che è giunto sui luoghi pochi minuti dopo
il passaggio della immensa colonna d'acqua. La caratteristica spaventosa
dell'avvenimento è questa: tutta la rovina è avvenuta nel giro di pochissimi
minuti, forse non più di quattro o cinque. Dopo di che al disastro è seguito un
tragico ristabilirsi di silenzio e di immobilità.
Così descrivere il nostro testimonio la sua visita.
L'avventura d'un treno
Il primo treno ordinario in
partenza da Brescia per la Valle Camonica alle ore 6 di sabato mattina aveva
oltrepassato la stazione di Artogne quando apparve ai viaggiatori lo spettacolo
di una immane corrente d'acqua, che, pur conservando il suo filone nell'Oglio,
si estendeva su tutta la piana della Valle, dalla strada provinciale bresciana a
quella nazionale bergamasca. Oltrepassato il torrente Re di Gianico, anche il
binario della ferrovia era sommerso completamente, cosicchè il treno si arrestò
e in mancanza di segnalazioni, ritornò alla stazione di Artogne. Parecchi
viaggiatori proseguirono a piedi sulla strada provinciale verso Darfo. La strada
situata più alta della ferrovia era sgombra e da essa lo sguardo dominava tutta
la valle nella quale l'acqua trascinava con irruenza mai osservata a memoria
d'uomo, una quantità di materiali e tutta una immensa serie di oggetti domestici
che hanno fatto pensare subito a case sommerse, distrutte.
Le case sparse nella valle erano infatti sommerse fino all'altezza del primo
piano.
Procedendo oltre, all'imbocco del viale dell'ospedale di Darfo, informano che
dallo sbocco del torrente Dezzo a Corna, irrompeva nell'Oglio una immane massa
d'acqua che, prendendo in pieno tutte le case sorte in questi ultimi anni sulle
due sponde del Dezzo, nel tratto dal ponte per Lovere al palazzo municipale di
Darfo, le abbatteva completamente.
Il ponte sull'Oglio è intatto come il ponte della ferrovia; ma completamente
asportato il corpo stradale fra il ponte e il passaggio a livello di Corna. Le
rotaie prolungantesi oltre il ponte, erano divelte e ripiegate lungo i muri di
risvolto del ponte stesso. La breccia aperta dalla fiumana attraverso questo
tratto di ferrovia è diventata un nuovo alveo del torrente Dezzo il quale scorre
oggi in due rami che si biforcano subito sotto lo stabilimento delle Ferriere di
Voltri. Il nuovo ramo del Dezzo scorre oggi contro il fabbricato scolastico e
municipale di Darfo. La riattivazione della ferrovia, qualora non sia possibile
ricondurre questo nuovo ramo del Dezzo nel suo antico alveo, richiederà la
costruzione di un nuovo ponte. È qui che si ha l'impressione più evidente del
disastro: è in questa località che si ricordano le numerose case sorte
recentemente, alcune, frutto di amorosi e sudati risparmi di ottimi artigiani,
dove non si vede già più nessuna traccia della loro breve vita. Sono scomparse,
con i loro abitanti. Scomparsi il ponte da Corna a Bessimo e la centrale
idroelettrica dello stabilimento delle Ferriere di Voltri.
All'imbocco della Via Mala
A Gorzone il torrente Dezzo si
sprofonda in un orrido che forma l'attrattiva dei villeggianti estivi. La forza
del Dezzo, ingombrata da tronchi e massi di pietra, e per la sua stessa
ristrettezza, ha qui provocato una sopraelevazione dell'acqua, non supponibile.
Rimessi dal primo spavento provocato dai boati della corrente, gli abitanti di
Gorzone hanno osservato il pelo dell'acqua rapidamente elevarsi, tanto da temere
che per un momento potesse esalveare di fronte al mausoleo dei Federici e
riversarsi sopra Casino Boario.
Il canale che alimentava la centrale idroelettrica delle Ferriere di Voltri si
svolge in sponda destra del Dezzo, quasi sempre in galleria: affiora dalla
roccia in qualche punto dove la sua struttura è costituita da una galleria
artificiale in calcestruzzo. In questi punti la volta della galleria speciale è
stata schiantata.
Angolo è intatto e non ha subito danni: ma il Dezzo che a monte dei ponti, si
allarga in un'ampia vallata fra Angolo e Mazzunno, col fondo poco ripido ha qui
pure lasciato le sue tracce. Laggiù, della centrale idroelettrica della S.E.B.
(che offriva l'imponenza del suo fabbricato) non resta più alcuna traccia. Con
essa, col macchinario, con le tubazioni, sono stati travolti il capo sala signor
Gritti e la moglie, che hanno fatto appena in tempo a mettere in salvo i
bambini. Sotto l'abitato di Mazzunno distrutta la strada di accesso alla
centrale; più a valle spazzato il cimitero, del quale resta un solo tratto del
muro di cinta; più a valle ancora le vecchie fucine di Mazzunno e il gruppo di
case di "Ful" sono letteralmente scomparse.
Non vi ripeto le impressioni di raccapriccio riportate dai visitatori
all'apparire qua e là di cadaveri completamente denudati, straziati, lanciati in
ogni punto più strano, di membra umane disseminate tra le rovine; dei gruppi di
cadaveri scoperti man mano in atteggiamenti rivelanti l'immenso terrore di
istanti inimmaginabili.
Tragici episodi
La fulmineità del disastro non
ha permesso né soccorsi immediati né salvataggi. Eppure sono avvenuti degli atti
di eroismo, che sembrano fantastici e nei brevissimi istanti qualcuno ha potuto
assistere a scene che non dimenticherà più.
Un abitante di Darfo richiamato dal boato e dai sibili laceranti che
preannunciavano la massa delle acque, in una soffitta a guardare, vide uscire
sul ballatoio di una casa vicina marito e moglie, non vestiti ancora. L'acqua
era vicina. Essi si abbracciarono disperatamente. La casa fu vista come
sollevarsi, le acque la inghiottivano poi con le due vittime e con altre che non
erano uscite.
Queste visioni spaventose sono dinanzi a coloro che ne furono spettatori, sono
un incubo che impedisce loro di pensare, di parlare.
I lavori di soccorso e di sgombero sono andati intensificandosi ieri, col
sopraggiungere di altre truppe, di milizia, di tecnici e di manovali. Il compito
è infinitamente penoso. La raccolta dei cadaveri e dei resti umani è uno
spettacolo, che non si può descrivere. I superstiti sono inebetiti: si direbbe
che non comprendono ancora la sciagura ma ne sono schiacciati.
La identificazione dei cadaveri è difficilissima. Molti non si troveranno più;
altri non si riconosceranno affatto. A quest'opera indicibilmente penosa
procedono le autorità giudiziarie coadiuvate da persone autorevoli del luogo e
dai soldati, seguiti dai gruppi dei superstiti straziati dall'ansia.
Leonzio Foresti
Da Dezzo a Lovere
Bergamo, tre sera.
Nel pomeriggio festivo della sagra dei mutilati, si era diffusa in città la
notizia dell'imminente arrivo di Sua Maestà il Re giunto invece stamane. Con un
gruppo di colleghi, noleggiata un'automobile, ci siamo affrettati a seguire
l'ospite Augusto, in visita di pietà sulle terre tormentate.
Questa terra bergamasca ci porge tutta la bellezza del suo panorama, che dalle
colline vive di case, passa ai monti rocciosi ed impervi sui quali dominano
nervosi, lucenti come argento, i picchi imponenti della Presolana e là di ciò il
triangolo dell'Adamello. Dall'alto dominiamo il Sebino, al quale scendere la
strada, con volubili tornanti portandoci a Lovere, dove si incominciano a vedere
i segni di quella rovina che ci attanaglia il cuore di sgomento.
L'acqua del lago insolitamente alta ha superato la cordonata della banchina,
sulla quale si alienano fasci di legname umido, che le barche dal largo portano
con alterno viaggio: su uno di essi domina una culla di vimini.
Da Lovere a Corna abbiamo i segni del cataclisma; campi invasi di limo, fra il
quale ristagna l'acqua a specchi; muri abbattuti da ambo i lati della strada,
trasportati dalla loro base; tronchi d'alberi divelti, trasportati dalla
corrente, piante che reggono un fasciame di cose indistinte orientate contro
corrente.
Tra Bessimo e Corna la strada diventa impraticabile; in alcuni punti sembra
arata, tanto i solchi sono profondi; in altri appare come sollevata da un
terremoto per i suoi avvallamenti; l'acqua corre da una parte all'altra, che i
pedoni traversano su passerelle.
Sotto Corna abbandoniamo il veicolo inchiodato nel fango; procediamo a piedi fra
un andirivieni di macchine, di carri e di passanti.
Dappertutto soldati, militi nazionali mobilitati per tutti i soccorsi; notiamo
la Croce Bianca di Milano con due automezzi.
All'ingresso del paese un convoglio; la Croce Rossa su di un'autolettiga carica
la salma di una donna che portano a Carnazza di Mologno; il percorso dalla
sventura è un nostro buon amico, l'avvocato Loglio, la cui madre ha cessato di
vivere dopo essere stata invano contesa alle acque.
Il Re nella chiesetta dei morti
Il Sovrano, insieme con le
Autorità locali, il sindaco e il parroco, le LL. EE. Carnazza e Finzi, gli
onorevoli Belotti e Ducos, sta visitando i cadaveri accolti nella chiesetta di
Darfo. La sua testa grigia si china con atto di pietà sulle salme straziate.
Fuori, muta nel suo dolore una chiesetta dedicata al S. Cuore di Gesù, raccoglie
venti salme, la folla si accalca all'ingresso, vigilato dai carabinieri, una
piccola folla; vi entriamo ed abbiamo il primo atroce spettacolo della orrenda
tragedia che ha battuto questa nostra cara terra.
Su di un assito, quasi nel fango, a sinistra 15 cadaveri sconosciuti; a destra
13 identificati; emergono dal lenzuolo funebre i tronchi inerti, nudi, le teste
scoperte, dagli occhi per la maggior parte aperti; tutti violentemente chiazzati
da larghi ematomi prodotti dall'urto della corrente, fra le pietre, le rocce, la
furia di della tragica corsa dalla valle al piano.
Quanta gioventù nel fiore! Quanti bimbi ghermiti dalla morte! Soavi volti fino
ad ieri coperti di baci ed oggi lordi di fango! Vennero addormentati dalla
carezza della mamma e furono svegliati dall'orrore della morte,
inconsapevolmente! Tra tutti, due testine d'angelo, senza che la furia degli
elementi abbia avuto il coraggio di toccarle!
Un cadavere è stato gelato dalla morte nel tragico atto di difesa contro le
acque: in alto il braccio come per vincere l'onda che lo travolgeva; da un
lenzuolo spunta una fine mano di donna con l'anello della fede in dito!
A sinistra dell'altare, contro il muro ................... informe coperto dare
sempre magico lenzuolo ricopre un ammasso di parti di corpo umano divelte,
precise, straziate!
Sul luogo della tragedia
Dove era un solido ponte a due
arcate, lungo 30 metri che cavalcava il Dezzo, unendo le due sponde di costa,
poco al di sopra della confluenza sull'Oglio, una passerella in legno, che
oscilla sotto i passi; sotto scorre rapida l'acqua minacciosa del torrente
distruttore. Dominiamo nettamente la posizione a destra della corrente.
Il Dezzo colla via Mala - doppiamente Mala - sbocca da una stretta che si
direbbe una fenditura del monte. Dove sorgevano case e villette, orti e giardini
degli impiegati delle industrie locali non vi è che una arida visione di sassi,
attorno ai quali ancora si indugia l'acqua.
Nel centro, un monolito, colossale, sembra la porta della fenditura della Valle
del Dezzo, scardinata da una convulsione tellurica: vi è invece stato portato di
lontano dalla furia inconcepibile della corrente.
Mentre ci indugiamo nella visione paurosa si avvicina una barella; al mio fianco
vedo levare dal fango la salma di un bimbo.
Nudo anche lui; particolare questo di quasi tutti i cadaveri; infatti la maggior
parte vennero sorpresi dalla furia delle acque ancora a letto o vennero
spogliati dall'attrito contro le rocce e dai vorticosi mulinelli d'acqua in un
lungo cammino perché la maggior parte dei cadaveri recuperati vengono dalla
valle, anonimi al piano; chè quelli del piano o sono interrati sotto l'alluvione
o portati verso Lovere.
Attraversato il Dezzo, osserviamo il lato opposto. La conduttura forzata dello
stabilimento delle Ferriere di Voltri è spezzata alla base; una campata dello
stabilimento è crollata; uno stabilimento condotto da un figlio dell'onorevole
Baslini non c'è più; il proprietario è salvo perché domiciliato a Darfo; il
padre stesso fu al posto a farne sollecita ricerca, disponendo al tempo stesso,
come presidente dell'opera Bonomelliana, che la sezione di Bergamo si mettesse a
disposizione per quel qualunque servizio di assistenza che fosse necessario.
Tutto il piano abitato è un letto sassoso; la casa dell'avvocato Bontempo è
stata salvata da un tubo di forzamento sbattuto contro la casa dalla violenza
dell'acqua; con essa sono salve le case che le stavano di fianco ed alle spalle.
L'acqua non solo è entrata, senza danneggiarla però, nella chiesetta in
costruzione, ma nella prima ondata si è spinta su per la salita a circa una
ventina di metri in Corna alta, invadendo la casa del parroco.
Delimitano a destra ed a sinistra in rovina, due chiese che pur hanno sulle
pareti le tracce della onda limacciosa; esse resistettero come resiste nei
colpiti della sventura, la confidenza in Dio.
Ieri sera stessa è incominciato il vettovagliamento delle zone colpite, camion
di farine, di carne in conserva, ecc. sono diretti sul posto.
La tragedia
rivissuta
L'altezza del serbatoio era di 1500 metri sul livello del mare.
Tralasciando di indagare le
cause non accertate - è pericoloso oggi avventurarsi a raccogliere le voci che
corrono sul posto - è un fatto che o per una fenditura o per un franamento alla
base dello sterramento, improvvisamente gli 8 milioni di metri cubi di acqua
raccolta, ebbero via libera fino a 225 metri sul livello del mare, per
successive cadute, con l'andamento di cateratta, su di una via calvolata più di
20 chilometri.
Questa cateratta liquida spostò una colonna d'aria il cui rimbombo, aumentato
dall'acqua che urta, spezza, travolge e cercala via incassata e stretta, fa
fuggire chi può fuggire: 800 operai dello stabilimento Voltri si sono salvati
così.
Come una goccia d'acqua volatilizza sul ferro rovente, Dezzo, Gandio, Bueggio
sono in buona parte annientati dalla improvvisa cascata paurosa, che si inabissò
trascinando massi, carogne, cadaveri nella valle del Dezzo, creando una fiumana
di più di dieci chilometri di percorso in una valle accidentata.
Le centrali elettriche che alimentano gli stabilimenti Beltracchini a Gazzaniga,
quella della ditta Zopfi di Ranica ed altre sparirono tra livide fiammate:
molini, segherie, tutto venne spazzato fino dai fondamenti. Giunta al piano, la
corrente scartò quasi il letto del Dezzo, travolse le case, una trentina, si
scagliò con violenza contro Darfo sulla fronte: lo scosse, ne rovinò una parte,
poi retrocedendo per l'ostacolo, costrinse l'Oglio a formare un estuario,
riversandosi a nord contro Boario e quindi placandosi sul piano, per sboccare
nel lago.
Cade il tramonto e ritorniamo sui nostri passi ma purtroppo il nostro doloroso
pellegrinaggio non è terminato.
La funebre ricerca
L'affaccendarsi muto;
l'andirivieni, quasi silenzioso della folla rotto solo dal sopravvenire di
autoveicoli, è dominato a tratti da squilli di tromba. Con questo segno pompieri
e fascisti si comunicano il rinvenimento o di un cadavere o di resti umani,
attorno a cui si affollano coloro che vagano in ricerca dei cari scomparsi.
Tre volte abbiamo udito dal piano sassoso levarsi lo squillo funereo. È
salutando con una preghiera cristiana la chiesetta dei morti, dalla quale ci
allontaniamo, pensiamo, a quanti cadaveri ancora verranno alla luce: a quelli
che non verranno estratti dalle rovine dei massi che ne sigillano l'ignota
tomba: pensiamo al dolore dei 600 emigranti del Dezzo che non troveranno più
nessuno nelle case abbandonate, che non esistono più, che non possono neanche
identificare per l'alterata configurazione del suo dolore.
Lungo la strada ci imbattiamo in un mutilato; che ci chiede dove sia la
delegazione dei mutilati, per interessarla sul caso di un socio morto, raccolto
in una casa in frazione Belvedere. Vi saliamo frattanto noi: in una piccola
stanzetta giace sul letto un robusto giovane morto: tre donne singhiozzano: un
uomo ha la faccia scavata da un dolore muto, pauroso. La sorella racconta: nel
maggior furore dell'inondazione il fratello mutilato di una gamba, sì è salvato
su di un tetto di una cappella del vecchio Cimitero di Corna, anch'esso
scomparso. Ai suoi disperati appelli di soccorso si intrecciarono quelli di
altri sventurati in più tragiche condizione di lui. La moglie udita la voce cara
si gettò al soccorso ma cadde vittima della sua abnegazione.
Dalla finestra della casa materna la sorella vide la tragedia, le portarono in
casa il fratello quando la piena fu passata: l'infelice riposa sul letto, quando
d'improvviso balza in piedi cogli occhi stravolti, annaspa colle mani l'aria
come per allontanare un'acqua che lo minaccia, grida e cade a terra morto. È
certo Pellegrinelli Lorenzo di anni 33.
Don Signorini dell'Eco di Bergamo mormora una prece e benedice la salma, fra i
ringraziamenti della famiglia cristiana, sulla quale si distende il confidente
abbandono in Dio.
Un ex tenente, certo Pegurri, al momento dell'inondazione salì sul tetto della
casa stringendo fra le braccia una figlioletta; alle spalle atterrita gli si
aggrappa la moglie. Ma la casa crolla sotto l'influenza della corrente:
l'infelice è in acqua: cerca soccorso: passa una pianta: si aggrappa ad essa: al
momento di farsene un appoggio, la figlia gli scivola di braccio, la moglie si
distacca svenuta e spariscono fra le onde limacciose: lui solo si salva,
inerpicandosi su di una pianta, solo col suo tragico dolore.
A Lovere
È notte alta quando arriviamo a
Lovere dove in una Chiesa vi sono molte salme. Il pretore del mandamento,
avvocato Pietro Scaletta, un gentiluomo che ha assunto nel primo momento la
direzione del salvataggio.
La luce elettrica che piove dall'alto, ci mostra grandi tavolati coperti di
bianchi lenzuoli. Di 43 cadaveri, quattro soli identificati: Mazzucchelli sarto
di Lovere, domiciliato a Darfo; De Gina sposata Vecchiato Arturo; Valerio
Massimo capotecnico di Darfo; Certa Massa fu Santo di Darfo.
I cadaveri vennero tutti raccolti sulla destra dell'Oglio; manca da esplorare
tutta la sinistra, Pisogne, Gratacasolo, ecc.
I soccorsi accentratisi sui luoghi della maggiore rovina non hanno lasciato
braccia sufficienti per Lovere; si invocano soccorsi di uomini, di magistrati,
di medici, ché quelli del luogo si sono prodigati con abnegazione.
Il magistrato ci segnala l'opera preziosa dei Cappuccini e delle suore di Lovere.
Nella cupa tristezza che ci invade, dopo tante ore di visioni tragiche, nella
bianca chiesa, diventata il pietoso ospizio di tanti umani avanzi, la preghiera
ci sale alle labbra dal cuore e si innalza a Dio invocando pace pei fratelli
colpiti dalla sventura.
Aldo Boffa
La visita del Re
Lovere, tre sera.
Questa mattina, mentre la pioggia riprendeva il suo monotono stillicidio che
rende ancora più triste lo spettacolo delle rovine che da Darfo ascendono per
l'orrida Via Mala, è giunto il treno reale alla stazione di Pisogne alle 10.30
precise. Sua Maestà era accompagnato dal Generale Cittadini, aiutante di campo,
da Sua Eminenza onorevole Finzi sottosegretario agli Interni, e venne ricevuto
dal ministro Carnazza, da Sua Eccellenza Bonardi, dagli onorevoli Bortolo
Bellotti, Ducas e Tiraboschi, dal Generale Cattaneo comandante il Corpo d'Armata
di Milano e delle autorità locali. Informatosi rapidamente dei particolari del
disastro, il Sovrano raggiunge in automobile Darfo ove si reca a visitare
l'ospedale portando la sua augusta parola di conforto ai feriti e la Chiesa che
accoglie quasi 100 salme pressoché tutte irriconoscibili.
Risalita in automobile e si reca a Corna. La popolazione saluta il Re a capo
scoperto in un silenzio doloroso che dice tutta l'angoscia e lo spavento che
dura nell'anima dei superstiti.
Il Sovrano s'arresta a lungo a guardare le immani rovine, il torrente che
spumeggiante e precipitando tavole, travi, e massi, continua il suo cammino
scrosciante; e, dopo calde frasi di encomio per le autorità che si prodigano sul
luogo, verso mezzogiorno ritorna all'automobile che lo riconduce a Pisogne per
continuare il pietoso pellegrinaggio da Clusone e dalla Cantoniera della
Presolana. Il suo arrivo in Val di Scalve è stato accolto con commozione e
sollievo dalle popolazioni. Sua Maestà ha esternato il desiderio di risalire
all'origine della catastrofe, percorrendo la via a ritroso nella tragica
corrente. Nonostante che gli sia stato segnalato il pericolo, il Re ha mantenuto
il suo desiderio disposto a perseguire a piedi.
Il Re sì è interessato minutamente del disastro e dei soccorsi predisposti,
raccomandando vivamente di alleviare a tutti, ma specialmente ai bambini e ai
vecchi, i dolori possibili della tragica attesa alla vita normale.
Ha conferito con autorità centrali e locali, tra cui i parroci e i dirigenti le
squadre di soccorso. La folla ammirata e consolata dall'augusta presenza gli si
è stretta dintorno di riverente.
Aldo Boffa
I Vescovi di Bergamo e di Brescia tra le popolazioni
Brescia, tre sera.
Stamane di buon'ora si è recato sul luogo del disastro Sua
Eminenza Monsignor Vescovo. Lo accompagnavano il segretario don Serini, Don
Tedeschi e l'onorevole Bresciani.
La visita del Venerando Presule ha commosso e confortato la popolazione. Egli ha
fatto il giro dei posti in cui sono raccolte le vittime, dando l'assoluzione. Si
è poi minutamente interessato della catastrofe e della sorte delle famiglie
colpite. Compiuta la visita Sua Eccellenza si era recato a incontrare il Re e lo
ha seguito per un tratto.
Abbiamo parlato stasera con Monsignor Marelli vescovo di Bergamo, il quale ci ha
pregato di invitare tutti i cattolici a raccogliere e mandare indumenti,
vettovaglie, denaro e medicinali alle popolazioni colpite dal disastro.
Abbiamo assicurato Sua Eccellenza che i milanesi, mai secondi nel portare il
contributo della fraterna solidarietà cristiana, non mancheranno neanche
stavolta di cooperare con tutte le loro energie ad alleviare le tremende angosce
di queste popolazioni.
L'onorevole Baslini, Presidente Generale dell'opera Bonomelli essendosi recato
fino da sabato sera sui luoghi del disastro immane che ha portato la desolazione
nelle alte valli bergamasche e bresciane, ha disposto che la Sezione di Bergamo
organizzi immediati soccorsi e metta a disposizione dell'autorità i propri
dormitori.
Oggi stesso il Missionario dell'opera Don Vismara, in unione alla Croce Rossa,
si era recato a Darfo e Dezzo recando viveri ed indumenti. Quelle contrade danno
alla emigrazione un largo contingente; proprio ora sono segnalati rimpatri di
numerosi operai che, tornando in Italia per svernare, non ritroveranno né la
famiglia, né la casa. Tanto più necessario era l'intervento dell'opera Bonomelli,
che mai abbandona, né in Patria né fuori, coloro che ad essa si rivolgono per
essere assistiti.