IL DISASTRO DEL GLENO: UNA STORIA ITALIANA
Non tutti gli anniversari sono soltanto scadenze rituali da commemorare
per dovere dufficio, tra lindifferenza dei più; non tutti gli anniversari
vengono per nuocere. Quanto si è verificato a Vilminore di Scalve, a sessant'anni dal
disastroso crollo della diga del Gleno, dimostra piuttosto che è possibile approfittare
di queste scadenze per capire, interpretare, interrogare la memoria di una comunità che
dimostra di non aver rinunciato alla sua identità e che lha voluta difendere
gelosamente pur tra intuibili difficoltà.
I componenti la Commissione di gestione della Biblioteca comunale di Vilminore (la diga
sorgeva nel territorio di questo comune e la frazione di Bueggio fu il primo centro
abitato ad essere distrutto), che hanno realizzato nel dicembre del 1983 la mostra Lacqua,
la morte, la memoria, hanno intuito che ricordare quello che venne Immediatamente e
universalmente definito il "disastro del Gleno", poteva significare anche
riflettere su questa identità e contribuire a non disperderla, coinvolgendo nella
ricerca, iniziata già nei primi mesi dellanno, sia i più vecchi testimoni diretti
che i giovanissimi allievi della scuola elementare.
La ricerca ha esplorato gli archivi comunali e parrocchiali di alcuni paesi della valle,
portando alla luce documenti inediti; le immagini fotografiche sono state per lo più
reperite negli album di famiglia e in fondi privati.
Talvolta sono state riutilizzate quelle apparse sulla stampa del tempo che, a sua volta,
ha fornito elementi utili e significativi. Le fonti orali sono state raccolte soprattutto
dai bambini della scuola e reinterpretate attraverso una serie di disegni che forse
costituiscono la più evidente prova della conservazione di memoria e identità.
Questi elementi espositivi sono stati disposti secondo un percorso che assoggettava gli
aspetti emozionali e visivi (si pensi anche soltanto all'inevitabile impatto con le
immagini dei cadaveri straziati) alla ricostruzione storica. Si passa dai primi progetti
di costruzione della diga alla sua realizzazione, documentata da una serie di eccezionali
fotografie di Stefano Magri, un fotografo ambulante di Vilminore che dimostra insospettate
qualità non solo tecniche. Le diffidenze della popolazione per lopera che veniva
compiendosi non riflettono soltanto una generica chiusura verso il nuovo o i
"forestieri", ma vi hanno parte le preoccupazioni per come i lavori vengono
condotti e i risentimenti per la durezza delle condizioni di lavoro della manodopera
-compresa quella femminile - reclutata sul posto.
La mostra consentiva di ricostruire gli aspetti non sempre limpidi nè univoci della
solidarietà verso le vittime del disastro, anzi della corsa alla solidarietà, che più
tardi le varie "catene della fratellanza" avrebbero veicolato strumentalizzato
come valvole di sfogo e copertura delle responsabilità.
La parte finale della mostra era appunto dedicata allamaro discorso delle
responsabilità dei costruttori, tanto gravi e dirette quanto benevolmente alleggerite
dalla sentenza del tribunale.
Questa pubblicazione non è il catalogo della mostra, ma pur dovendo sacrificare molte
fotografie, documenti, disegni, si propone di rispettarne e esplicitarne il significato
essenziale, offrendolo alla riflessione di chi sfoglia queste pagine. Con molta
probabilità il pensiero corre al ricordo di unaltra sciagura, ben più vicina nel
tempo, ma non dissimile per leggerezze e responsabilità impunite: il Vajont.
Può forse stupire il constatare quanto a lungo e con quanta evidenza il disastro del
Gleno sia rimasto nella memoria non solo della gente delle zone direttamente colpite, ma
di quella che si potrebbe definire la pubblica opinione, segno che il "consumo"
della catastrofe attraverso i media non era ancora -nè poteva essere- la sconcertante
realtà più volte constatata in tempi più recenti: la catastrofe come spettacolo. Eppure
anche gli stralci dei periodici del tempo (opportunamente la mostra ha dato più spazio
alle testate di carattere nazionale rispetto a quelle locali, pur scontando grossolane
imprecisioni nella descrizione dei luoghi del disastro) fanno riflettere per i toni
macabro-pietistici, per il rilievo dato alle iniziative "benefiche", alla visita
delle autorità civili, religiose e del re, per il gusto del selvaggio e del pittoresco
che non indietreggia neppure di fronte ai morti e alla tragedia.
Essere presenti è anche un'occasione politica per il neonato regime, ma inutilmente il
partito fascista e la Milizia cercano di controllare la situazione e di volgerla a loro
vantaggio. Dalle solenni e consuete promesse di fermezza e di inesorabile severità di
esponenti del governo e dello Stato, si passerà nel giro di pochi anni alla benevolenza
della sentenza: si direbbe incredibile, ma tante altre vicende giudiziarie successive e
anche assai recenti non consentono più stupori e incredulità. La gente delle valli
sentì in questa iniqua sentenza lintervento salvatore del regime, non per
convinzioni ideologiche, nè probabilmente per prove sicure, ma per una semplice
constatazione di concreta evidenza: i "signori", i ricchi stanno con i fascisti
e i fascisti li proteggono.
La ricerca della biblioteca di Vilminore apre interrogativi e stimola la curiosità di
indagare ulteriormente la storia della valle e della sua gente: quanto il disastro del
Gleno ha pesato sullatteggiamento della stragrande maggioranza della popolazione che
non aderisce alle proposte del regime e conserva una sua schiva autonomia, che non
alimenta forse un dissenso politico esplicito, ma che sicuramente mantiene una diffidente
estraneità?
Questa capacità di aprire interrogativi è unulteriore motivo di interesse di una
mostra "povera", realizzata con mezzi e costi modesti, ma con consapevolezza
critica e profonda onestà intellettuale: anche gli aspetti più scomodi della vicenda non
vengono taciuti, indicando con una precisione diventata inusuale responsabilità e colpe,
senza cadere in toni (questi si in troppe occasioni usuali...) di vittimismo o falsa
pietà.
Una realizzazione che va quindi decisamente controcorrente rispetto alle mode culturali e
alla fiorente industria delle mostre, e nello stesso tempo unaffermazione preziosa
di uno stile di lavoro che indica come si possa superare la povertà di mezzi quando si è
sorretti dalla sensibilità storica e dalla passione politica.
Aprile 1984