PARTE QUARTA
Sulla natura della causa immediata del crollo
CAPITOLO
DODICESIMO.
Rilievi - Ipotesi - Perizia Cugini - Conclusioni.
Alle
conclusioni della Parte Terza di questa relazione dovevano necessariamente far
seguito indagini dirette a determinare, se possibile, la natura della causa
immediata che alle sette del mattino del 1° dicembre determinò il crollo della
diga del Gleno. Era prevedibile che l'esame più diligente dei luoghi, sia pure
fatto ripetutamente, non avrebbe condotto alla scoperta di traccie così evidenti
da fissare subito la natura della causa. Infatti l'enorme massa d'acqua, di
rottami e di torbida velocemente precipitata dallo squarcio, doveva aver
travolto e trasportato lontano ogni cosa che non fosse muratura saldamente unita
alla roccia o roccia stessa. Le nostre ricerche però hanno potuto rilevare, in
luogo riparato dalla violenza della corrente, indizi che permettono di fare
deduzioni sulla natura di detta causa istantanea.
L'intervento di una causa istantanea è ammesso anche dai signori periti del
Tribunale, nelle conclusioni, là dove dichiarano di non aver potuto determinare
la causa immediata del crollo; ed infatti uno sfacelo per semplice effetto di
compressione della muratura del tampone, muratura racchiusa fra pareti molto
resistenti di paramento in pietre squadrate o in calcestruzzo di cemento, doveva
essere preceduto da indizi di spostamenti e da screpolature, mentre così non fu.
Secondo la tesi dei periti del Tribunale, la muratura del tampone sarebbe stata,
per effetto di compressione, in uno stato limite di stabilità interna assai
vicino alla rottura, cosicchè una qualsiasi causa istantanea di maggior lavoro
avrebbe potuto senza grande sforzo determinare il crollo. A questo proposito
l'opinione dei periti del Tribunale si è fermata sull'ipotesi di una
sottopressione crescente fra diga e roccia, fino a raggiungere le condizioni
catastrofiche della loro terza ipotesi, ma abbiamo dimostrato colle osservazioni
di fatto e anche in base ai rilievi dei periti del Tribunale, che tale forte
sottopressione era puramente ipotetica.
Le nostre ricerche hanno invece posto in evidenza che la muratura del tampone
non era affatto in stato limite di stabilità interna, bensì in condizioni
normali di resistenza, assai lontane da quelle necessarie per uno sfacelo per
compressione. Hanno d'altra parte dimostrato un progressivo assestamento per
fratture della roccia sottostante alla diga, coll'inevitabile conseguenza del
formarsi di piani di frattura nel tampone. In tale condizione di fatto, una
causa istantanea può avere provocato il crollo solo estendendo la più importante
fra dette screpolature interne, quindi agendo da monte a valle, o dal sotto
all'insù, o per interna pressione nella stessa frattura.
Le ipotesi possono essere: 1° Un istantaneo scorrimento a valle per movimento
della parte inferiore del dicco di porfirite; 2° Pressione d'acqua infiltrantesi
di sotto roccia nella frattura, proveniente dal bacino del Gleno o dal bacino
imbrifero locale; 3° Un urto violento nella galleria di scarico.
La prima ipotesi, per quanto corrispondente alla speciale sismotettonica del
luogo, non è confermata da nessuna osservazione, al mattino del 1° dicembre, di
movimenti sia pure microsismici; non potrebbe dunque avere spiegazione che in un
movimento locale. Certamente i nostri rilievi (vedi Parte Terza), i riferimenti
a quanto potè constatare e dimostrare Ottave Mengel per analoghe condizioni di
struttura del terreno, dànno elevato grado di probabilità a questa ipotesi, ma i
segni rivelatori di ciò verrebbero a confondersi con quelli degli assestamenti
precedenti o susseguenti il crollo; perciò nulla potrebbe essere rilevato a
particolare conferma.
La seconda ipotesi può essere giustificata dalle eccezionali copiose pioggie dei
giorni precedenti il crollo; però riuscirebbe assai difficile stabilire la
pressione corrispondente alla penetrazione dell'acqua attraverso fessure di
roccia; non è perciò possibile al riguardo, un giudizio sicuro.
La terza ipotesi rendeva necessario un esame della galleria di scarico, per
vedere se vi fossero traccie dell'urto violento e istantaneo di una esplosione.
Si è perciò fatto una visita accurata alla galleria di scarico. Da detta visita
risultò che:
1° I monconi delle varie mensole di ferro della passerella ivi già esistente,
sono troncati nettamente a pochi centimetri dai punti di infissione (Allegato N.
51);
2° La terz'ultima di dette mensole, fra quelle visibili, troncata nello stesso
modo nel braccio superiore. si presenta notevolmente contorta, ancora infissa
nella muratura per il braccio inferiore e disposta fortemente inclinata verso il
fondo della galleria;
3° L'ultima mensola visibile è ancora infissa nella muratura ed intiera, ma
inclinata essa pure verso il fondo della galleria;
4° Sopra i detriti di muratura accumulati nella galleria esiste una mensola
completa strappata dal posto per troncamento dei bracci come sopra, contorta e
con fenditure nelle piegature;
5° Sopra gli stessi detriti si trova pure il cerchione di un volante di ghisa
mancante del mozzo e dei raggi, i quali sono nettamente troncati presso il
cerchione stesso;
6° Tra i più volte nominati detriti esistono ancora dei tavoloni e delle
assicelle appartenenti alla passerella, alcuni dei primi, in pezzi di qualche
entità, gli altri e le assicelle, frantumati in pezzi larghi pochi centimetri e
lunghi da 20 a 60 centimetri.
Non fu possibile rimuovere i detriti accumulati nella galleria di scarico,
perchè a far ciò occorreva una speciale ordinanza del Tribunale, ordinanza che
noi non avevamo autorità di chiedere ed ottenere.
Ma l'esame, pur così limitato, lasciò in noi una profonda impressione: le pareti
intatte col loro lucido intonaco di calcare depositato dal lentissimo
trasudamento attraverso le murature (così come è in tutte le gallerie di scarico
e nei serbatoi) indicavano chiaramente che non vi era stato rotolamento di massi
e di detriti per moti vorticosi di rigurgito durante il rapido svaso del lago:
dapprima l'acqua irrompendo con velocità di più di 20 metri al secondo
dall'enorme stramazzo, doveva essere stata lanciata lontano per le balze del
Povo, poi, diminuendo la velocità, venne a cadere presso e sulla soglia della
galleria di scarico; ma lo spazio piano innanzi alla bocca attuale della
galleria di scarico è breve (Allegato N. 50), di pochi metri; l'acqua per cadere
così vicino doveva aver perduto molto della primitiva violenza; la copiosa
cascata non potè, in tali condizioni, determinare importanti moti di rigurgito;
anche attualmente, quando il livello del piccolo lago cresce fino a superare di
un metro e più la muratura del tampone, l'acqua, stramazzando, cade al ciglio
della soglia, ma non si osservano moti violenti di rigurgito; tutt'al più,
scendendo dai fianchi, ed elevandosi man mano che aumentava la depressione sotto
alla cascata, inondò la parte inferiore della galleria di scarico trasportando
verso il fondo il materiale di minori dimensioni gettato dal crollo sulla soglia
della galleria; mentre un masso di circa mezzo metro cubo caduto verticalmente
dalla vòlta, è ancor oggi al posto dove cadde. Al finire poi dello svaso l'acqua
entrata nella galleria doveva, uscendone, riportare con sé parte di quei
detriti, così da lasciare il resto disposto secondo il piano inclinato naturale
di terriccio e sassi.
Non si può neanche ammettere una istantanea, violenta aspirazione d'aria
trascinata dalla corrente dello stramazzo. In tal caso le mensole rimaste verso
il fondo sarebbero state contorte verso l'ingresso della galleria, mentre lo
sono nell'opposto senso; il materiale leggero d'assi e assicelle della
passerella sarebbe stato aspirato verso l'ingresso e trasportato lontano in
valle, mentre oggi è sparso sul cumulo e verso il fondo della galleria.
D'altra parte la rescissione netta, violenta delle mensole in ferro della
passerella, in luogo dello strappamento dalla parete, così facile per una forza
che non avesse agito in modo assolutamente istantaneo: lo sminuzzamento in brevi
e sottili striscie delle assi formanti il parapetto della passerella: la
deformazione delle mensole in ferro più vicine alla parete di fondo, come se
l'effetto d'urto rapidamente fosse diminuito colla distanza dalla frattura,
fecero a noi l'impressione di un urto violento, istantaneo là dove vi è il piano
attuale di frattura. Come spiegare altrimenti la rescissione netta delle mensole
e le pareti intatte se non con un urto violento d'aria? Fosse stato effetto
dell'irrompere della torbida, il sottile e lucido intonaco sarebbe stato
scalpellato, o per lo meno striato, mentre esso non presenta striature. E per la
pressione sia pure violenta dell'acqua, non era più naturale effetto strappare
le assi della passerella fissate con semplici chiodi lasciando intatte le
mensole, o al massimo strappare le mensole dal loro debole incastro piuttosto
che tagliarne vicino alla parete i robusti ferri sagomati? E come avrebbe potuto
la pressione di una massa liquida sfilacciare le assicelle in molti brevi pezzi?
Tutto ciò avvalorò in noi fortemente l'ipotesi di una esplosione sulla
passerella o contro la vòlta della galleria, così da formarne convinzione. Ma
obbiettivamente giudicammo anche che la nostra competenza nei segni rivelatori
specifici di una esplosione era troppo generica, troppo limitata, perchè la
nostra convinzione fosse sufficiente: argomento, anche se confermata dalla
scomparsa di circa 75 kg. di dinamite prima del crollo, da deposizioni di testi
(Allegato N. 52 e 53) e dalle confidenze prudentemente sussurrate in Val di
Scalve.
Perciò abbiamo desiderato fosse chiesto al riguardo il parere di persona
competente: diremo meglio di chi per le mansioni dell'elevata carica che esso
riveste, poteva essere senza dubbio il competente in materia, e per la divisa
che così autorevolmente porta, dava garanzia di scrupolosa obbiettività; ossia
il Comandante del Genio Militare del Corpo d'Armata di Milano, la cui zona si
estende dalla Dora al Mincio, e comprende le Officine e Laboratori Militari di
Pavia.
Il signor Colonnello Ottorino Cugini, ottenuto il permesso delle superiori
Autorità, si recò a visitare le rovine del Gleno e minutamente la galleria di
scarico; indi stese la Relazione che uniamo in Allegato (Allegato N. 54). In
essa afferma: "Tenuto presente che le mensole in ferro non erano infisse
notevolmente nelle pareti della galleria come risulta anche dall'esame della
parte non asportata di esse pareti, e che il volante ed i legnami sono spezzati
e frantumati nel modo caratteristico sopra indicato, devesi ammettere come
possibile la loro rovina soltanto come conseguenza di un urto notevole,
istantaneo, che li abbia investiti in pieno e contemporaneamente, per tutta la
loro estensione.
"Tale urto notevole, istantaneo e contemporaneo, è specifica conseguenza degli
alti esplosivi".
E conclude:
"Detta carica ha determinato soltanto il crollo dell'imbocco della galleria,
trovando in un primo tempo, obliquamente, verso la parete esterna del tampone,
una linea di minor resistenza corrispondente alla sua entità, con un primo
distacco di materiale".
"Come è noto nel brillamento delle mine esiste oltre il raggio di esplosione
anche quello di commozione".
"Non è qui il caso di cercare tali dimensioni; ma poichè il secondo è
notevolmente superiore al primo, è facilmente intuibile che la commozione abbia
continuato ed aumentato l'azione dei danni prodotti nel primo istante e poichè
immediatamente sopra la vòlta della galleria esisteva il piede della pila N. 7,
qualche danno, pur anche lievissimo, a detto piede può aver determinato
cedimenti, che dapprima lievissimi, si sono rapidamente moltiplicati ed estesi
formando un piano inclinato di scoscendimento, che, aumentando continuamente ha
prodotto la ruina determinatasi.
"Detta ruina ha trascinato anche quelle parti di muratura del tampone che
l'esplosivo aveva lesionato ma non staccato; vennero a scomparire quelle
particolari lesioni che rimangono nei manufatti nelle vicinanze del centro
dell'esplosione; l'usura delle acque che si rovesciavano sul crollo, completò
detta opera di distruzione".
***
La Relazione
del Colonnello Cugini conferma pienamente l'ipotesi dedotta dai rilievi da noi
fatti nella galleria di scarico, cioè che la causa immediata la quale determinò
il crollo della diga agendo istantaneamente sulla sua parte centrale (già nelle
condizioni di degrado dimostrate nella Parte Terza di questa Relazione) sia
stata l'esplosione di una carica di alto esplosivo posta sotto la vòlta della
galleria di scarico. La Relazione del signor Colonnello Cugini aggiunge inoltre
tale forza di documentazione a questa ipotesi da giustificare in base ad essa la
nostra convinzione che tale realmente sia la causa immediata del crollo.
Con questa dichiarazione vogliamo chiudere la nostra laboriosa ricerca, nella
quale fummo guidati dallo scrupolo della maggior diligenza e della maggiore
obbiettività.
Firmati:
Ing. MARIO BARONI
Ing. UGO GRANZOTTO
Ing. LUIGI KAMBO
Ing. URBANO MARZOLI.