PARTE SECONDA
Verifica della stabilità

CAPITOLO SETTIMO.
Commenti di tecnici - Ammaestramenti del crollo - Il livello culturale dell'epoca in argomento "dighe".

Il crollo della diga del Gleno ha interessato i più competenti tecnici del mondo intero. Solamente pochissimi però hanno potuto giudicare dopo aver visto coi loro occhi. Quasi tutti, a causa della distanza o di altre difficoltà, si sono dovuti basare per le loro deduzioni, su elementi forniti da altri, su fotografie, o sulle risultanze della perizia di accusa.
Un linguaggio particolarmente severo usa il Ludin, mentre assai misurato è il Fungairiño (inviato sul posto dal Governo spagnolo), il quale non pronuncia sentenze ma si limita ad ipotesi diverse. Un accurato studio è quello in corso nelle "Houille Bianche", di esso però non sono ancora apparse le conclusioni.
Lo Stücky addebita il crollo alla difettosa collocazione, alla calce, alla esecuzione ed anche al progetto. L'Ing. Mattern di Postdam critica la disposizione ad arco mentre 1'Ing. Goodfuys, fatto un calcolo approssimativo, conclude che, esistendo la sottopressione, la risultante esce dal terzo medio e si avvicina allo spigolo a valle.
I giornali, quali l'Engineering News Record, la Wasserkraft di Monaco, la Technische Ukelslad, le Génie Civil, ecc., riportano giudizi degli Autori stranieri già menzionati.
In generale quindi sono presi in considerazione il progetto, la collocazione della diga e la esecuzione, mentre non sono adeguatamente considerate le condizioni della roccia di fondazione. In taluni degli Autori si vede lo sforzo di mettere d'accordo col disastro i calcoli usati attualmente; così lo Stücky, che scrive nella Schweizerische Bauzeitung: "La catastrofe della diga del Gleno non ha fortunatamente la sua origine nella applicazione di concetti riconosciuti ovunque come giusti". Lo Stücky conclude poi asserendo che il crollo della diga del Gleno, non è neppure immaginabile in Isvizzera, se non in causa di terremoto. Questo giudizio che, indubbiamente oltre l'intenzione del suo Autore, mette l'ingegneria italiana ed il suo controllo statale al disotto di quelli svizzeri fu dovuto certamente al dilagare di accuse, altrettanto gravi quanto non controllate, lanciate in Italia, per il che si è data all'estero l'impressione che qualunque individuo, anche ignorante o disonesto, possa da noi mettersi a progettare o costruire dighe.

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E' infatti doloroso constatare che, mentre la popolazione in genere, in tutta Italia, ha appreso la orrenda notizia del disastro con sgomento ma con serenità dolorosa, vi siano stati accesi accusatori proprio fra coloro che più degli altri sanno quante, e potenti, e misteriose, siano le forze avverse della natura, e quanto vigile e insidiosa sia l'azione delle acque contro le opere costruite dall'uomo.
Nessuna riserva fu fatta al riguardo. Eppure, quando si è assistito anche una sola volta a piene impetuose che flagellano per intere gior-nate le pile dei ponti, i fianchi degli argini o il fronte degli sbarramenti, quando si ha avuto occasione di pensare anche una sola volta alla estrema mobilità e divisibilità dell'acqua, che penetra in meati, che una lente difficilmente scoprirebbe, si dovrebbe avere in sè connaturato il senso della riserva sulle cause originanti i disastri.
Nè le formule più accurate, nè l'esecuzione più meticolosa bastano a darci in quei momenti la tranquillità e la sicurezza di giudizio.
Il problema del calcolo delle dighe è fra i più ardui non solo per l'imperfezione delle formule usate a fine di conoscere la propagazione degli sforzi nell'interno delle murature, ma pel fatto che queste propagazioni sono fortemente influenzate dalle variazioni di temperatura dell'acqua, dell'aria, della muratura stessa, nè è noto quale sia l'effetto del ghiaccio e quale sia la reale azione delle penetrazioni d'acqua.
Conosciamo assai imperfettamente come si debba valutare l'effetto dell'incastro al piede od alle sponde di una diga ad arco o rettilinea, e non sappiamo la misura degli effetti di un cedimento di parte del terreno di fondazione.
Tutto ciò si risolve nei calcoli preventivi con ipotesi semplificative di scarso valore scientifico, se pure si siano dimostrate adeguate.
D'altra parte i bisogni della civiltà e l'aumento continuo della popolazione premono irresistibilmente a utilizzare i salti dei torrenti, a raccogliere in capaci serbatoi le acque di piene per erogarle in magra e supplire così ai bisogni dell'industria e della agricoltura, a trattenere in alto le acque che tornerebbero a trasformare in paludi, fertili campagne penosamente bonificate.
Occorrono quindi delle dighe sempre più alte, sempre più in alto, e insieme occorre abolire tutto il superfluo, affinchè la Nazione collo stesso capitale disponibile possa eseguire più opere.
Date le incertezze accennate e i precisi scopi da raggiungere, si comprende che la soluzione deve essere talvolta nuova, giacchè se è vero che le formule imperfette che si adoperano sono sanzionate dall'esperienza, è pur vero che tale sanzione è nei limiti delle opere stesse e nulla ci garantisce quando ne usciamo.
Coloro che verranno dopo approfitteranno della ulteriore esperienza, ma l'uomo, che è eternamente insoddisfatto, cercherà di uscire ancora dai nuovi limiti.
Necessariamente la via del progresso è serpeggiante e subisce brusche svolte e talora dei ritorni. Quando un tipo di diga ha fatto buona prova, immediatamente si estende a dighe maggiori, poi a parità di altezza, si tende ad assottigliare gli spessori, la necessità economica premendo in questo senso.
Per un avvenimento contrario si torna indietro, esagerando nello arretramento, ciò che porta, se non alla stasi,. certo a un arresto del progresso economico. La scelta del punto limite oltre il quale si sper-pera è assai difficile a realizzare.

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Il crollo della diga del Gleno segna una di queste svolte della via del progresso tecnico come a suo tempo ne segnarono altri il disastro dell'Habra, di Bouzey, di Austin e di altre dighe a gravita; però questi disastri spinsero gli studiosi a ricercare le cause occulte dei luttuosi fenomeni, e così vennero gli studi del Levy e di altri sulle pressioni interne, sulle sottopressioni, sulle filtrazioni, sulle contrazioni; studi che portarono alla costruzione di maggiori colossi quali le dighe di Shoshone, di Kensico, di Rooseevelt nel Nord America e quelle di Tremp e Camarasa in Spagna, tutte a gravità.
La tecnica non poteva appagarsi di queste enormi e costose masse di muratura le quali hanno difetti e debolezze congenite alla loro stessa grandezza. Tali sono il grande costo, l'impossibilità di visitare l'interno, la inadatta resistenza alle scosse sismiche, l'accumulazione di calorico nell'interno, il ritardo della presa delle malte per la difficile aereazione, la difficoltà di eliminare le sottopressioni. Così i tecnici furono spinti alla ricerca di nuovi tipi e così, sorse, da un primo tentativo fatto in India, il tipo ad archi multipli. Questo tipo ebbe subito applicazioni nel Nord America, specie nelle regioni della California soggette a terremoti, e raggiunse la massima grandiosità nella diga del Tirso in Sardegna.
Dopo il crollo della diga del Gleno accadde per le dighe ad archi multipli quello che era accaduto per il tipo a gravità dopo i disastri accennati; la stasi si è immediatamente prodotta. Dighe ad archi multipli che si ritenevano esageratamente robuste con 20000 mc. di muratura, ora si vorrebbero eseguite a gravità con 100000 mc.; progetti arrivati all'inizio dell'esecuzione sono stati abbandonati; laghi che dovevano contenere decine di milioni di metri cubi sono ridotti a contenerne un quinto, limitando talvolta l'invaso a molti metri sotto la cresta della diga.
Tutto ciò è doloroso, perchè significa per il nostro Paese, specie per il Mezzogiorno e per le Isole, che solo dall'acqua aspettano la loro resurrezione economica e sociale, un ritardo dannosissimo. E' quindi di interesse nazionale lo studiare attentamente il luttuoso avvenimento, come noi abbiamo voluto fare, per trarne quegli ammaestramenti che possono far riprendere al nostro. Paese, la buona, la sicura strada.
In questo esame, nella ricerca delle cause e delle eventuali responsabilità, noi non dobbiamo isolare la diga del Gleno dal livello culturale dell'epoca. Le lodi tributate a quest'opera, le offerte d'acquisto, l'esame della parte rimasta in piedi, le risultanze scritte nei capitoli precedenti sul come fu eseguita e con quali materiali, l'esame dei calcoli, che faremo più avanti, stanno a documentare che essa emergeva da questo livello, anzichè soggiacervi.
La diga del Gleno non era un'opera audace e tanto meno temeraria.
Il tampone era di dimensioni sufficienti; la grossa platea di calcestruzzo parzialmente armata che lo ricopriva era certo prudenziale; l'interasse adottato (metri 8) era circa la metà di quello adottato nel Tirso (metri 15); con tutto ciò gli spessori dei contrafforti erano relativamente elevati ed, a parità di interasse e di profondità, superavano considerevolmente quelli del Tirso. Se dunque la diga del Tirso è stata da taluno chiamata "eccessivamente robusta o tale anche deve essere considerata la diga del Gleno. Ed il suo aspetto lo dimostra (Allegati N. 31 e 32).
Se veramente i costruttori della diga del Gleno fossero stati guidati da gretti criteri di soverchia economia, essi avrebbero potuto incominciare a ridurre gli spessori prima di indursi a ridurre, come si pretende, le dosi dell'agglomerante, giacchè è evidente che riducendo gli spessori si risparmia cemento, sabbia, ghiaia e mano d'opera, mentre riducendo l'agglomerante è solo una parte di questo che si risparmia.
E' stata criticata la collocazione della diga troppo in avanti verso il salto del torrente, ma vi sono altri esempi di dighe resistenti da parecchi i anni e poste proprio sull'orlo di precipizio; così la diga del Gabiet che domina come un castello la Vallata della Lys.

CAPITOLO OTTAVO.
Ricerca delle cause del crollo - Verifica della stabilità del tampone - Conclusioni della Parte Seconda.

Ogni costruzione si può definire un sistema statico atto a riportare sul suolo le forze che agiscono lontane da questo; ogni costruzione non è che un condotto di forze, un tubo di flusso, il quale deve contenere tutte le forze interne provocate nella costruzione stessa dalle forze esterne, in modo da evitare eccessive concentrazioni e brusche risvolte.
Il terreno che deve accogliere questo flusso di forze deve essere resistente e compatto, chè ogni cedimento perturberebbe la traettoria delle forze stesse nell'interno della costruzione, provocando delle lesioni e talvolta anche una catastrofe. E' intuitivo che se il suolo è infido, si rompe la migliore costruzione, mentre se il suolo è sicuro, è avvenuto più volte che costruzioni imperfette siano rimaste in piedi giacchè, mentre un cedimento del suolo impegna tutta la costruzione, un difetto di questa impegna solo la parte superiore o meglio precedente al difetto.
Imponenti sbarramenti fatti coi migliori materiali e colle maggiori cure, con dimensioni esuberanti, quali sogliono adoperare i progettisti inglesi, sono crollati, rovesciandosi di fianco una pila sull'altra, nel delta del Nilo e nei fiumi Indiani, in causa delle cattive condizioni del terreno di fondazione.
Occorre dunque, perchè la costruzione sia stabile, che siano ugualmente stabili tutti gli anelli della serie i cui estremi sono: forze esterne e suolo.
Procedendo nella direzione del flusso delle forze, tale serie, nel caso della diga del Gleno, era formato di quattro parti:
1. - Volte inclinate;
2. - Sperone;
3. - Tampone;
4. - Suolo di fondazione
Occorre esaminare colla stessa attenzione tutte e quattro queste parti giacchè la causa del crollo può risiedere nella manchevolezza dell'una o delle altre.
E' evidente che se in ogni tratto della diga i quattro elementi fossero sempre di uguale importanza, nulla si potrebbe dedurre a priori; ma noi vediamo che dove la diga ad archi multipli posava direttamente sul suolo, essa è rimasta in piedi e non ha sofferto affatto, neppure dall'enorme scossa datale dallo strappamento prodotto dalla parte contigua che cadeva.
Si può senz'altro dedurre, visto che tutte le pile avevano la stessa forma, la stessa struttura e la stessa composizione delle malte, che non è nella parte ad archi multipli che dobbiamo ricercare le cause del crollo, come pure possiamo dedurre che il suolo di sponda destra era resistente.
Resta da esaminare il modo di comportarsi del tampone e delle rocce di fondazione di sponda sinistra; la perizia del Tribunale esamina quasi esclusivamente il tampone ed è assai esplicita al riguardo attribuendogli tutta la responsabilità del crollo.
Le nostre conclusioni sono nettamente contrarie. Ad esse noi siamo arrivati attraverso alle risultanze di fatto della prima parte di questa nostra esposizione ed attraverso ai risultati dei calcoli che seguono.
Noi abbiamo ripreso il calcolo generale della diga in base ai dati di esecuzione ed in base alle ipotesi fisiche più attendibili, comunemente adottate o prescritte, e tutto ciò in confronto delle ipotesi fatte e dei calcoli istituiti dai signori periti del Tribunale. Non abbiamo creduto di ripetere i calcoli delle vòlte e dei piloni, non imputati, messi, per così dire, fuori causa.
Questa parte della nostra esposizione (ipotesi e calcoli) è da noi esposta e consentita collegialmente, essa è però opera speciale del confirmatario Ing. Luigi Kambo, progettista della diga del Tirso.

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Verifica della stabilità del tampone.
Premettiamo le seguenti ricerche:
A - Sforzi agenti sulla faccia superiore del tampone.
B - Effetto della forma arcuata del tampone.
C - Effetto delle sottopressioni.
D - Effetto drenante del cunicolo di scarico.

A) Sforzi agenti sulla faccia superiore del tampone. - Cominciamo col determinare gli sforzi agenti sullo sperone per poi da questi ottenere la risultante relativa allo strato a quota 1521 (faccia superiore del tampone).
Tali sforzi sono:
a) pressione dell'acqua agente sulle vòlte inclinate,
b) peso proprio delle vòlte,
c) peso proprio dello sperone.
Il livello d'acqua lo supponiamo alla quota 1549, come nel calcolo della perizia del Tribunale, sebbene tale quota non sia stata mai raggiunta.
Esaminiamo partitamente detti sforzi.
a) Pressione dell'acqua. - Essa agisce sulla superficie di estradosso delle vòlte, occorre quindi determinare, coi noti metodi, la superficie equivalente di pressione, ossia quella superficie sulla quale agendo, l'acqua darebbe sul piano medio dello sperone, e in ogni punto, le stesse sollecitazioni che derivano dalla pressione dell'acqua agente sulla reale superficie di estradosso (Allegato 34, N. 1).
Applicando la formula data dal Prof. Guidi, modificata pel fatto che l'interasse considerato è variabile con l'altezza ed è maggiore della corda di estradosso, otteniamo i risultati riportati nell'Allegato N. 37, e nelle Tabelle 1 e 4 dell'Allegato N. 35.
Nel calcolo dei periti del Tribunale la ricerca della superficie equivalente di pressione non è stata fatta.
b) Peso proprio delle vòlte. - Siccome ricerchiamo le forze che agiscono sulla faccia superiore del tampone, e non controlliamo la stabilità dello sperone, è inutile effettuare la decomposizione di detto peso in una componente normale al paramento a monte e in una parallela, poichè le due azioni così ottenute, venendo ad agire simultaneamente sul tampone, tornano di nuovo a combinarsi.
Supponiamo le vòlte decomposte in zone mediante piani normali al loro asse di rotazione, il volume di ogni zona è dunque dato dal prodotto della sezione retta (trapezio) per lo sviluppo dell'arco baricentrico, che per la piccolissima inclinazione mutua dei lati convergenti del trapezio, può confondersi collo sviluppo della fibra media dell'arco. Analogamente il baricentro del solido può ritenersi coincidente con quello della fibra media dell'arco.
I dati e i risultati sono raccolti nelle Tabelle 2 e 3 dell'Allegato N. 35.
Al disopra della quota 1543 (imposta dell'arco verticale di coronamento), in causa della forma complessa della costruzione si è fatta la determinazione del peso complessivo della vòlta e dello sperone (Allegato N. 37). Per le vòlte si è assunto il peso specifico 2,3 come nella perizia del Tribunale.
Nel calcolo di tale perizia non si è tenuto conto del peso delle vòlte.
c) Peso proprio dello sperone. - Abbiamo diviso la parte degli speroni restanti al disotto della quota 1543 in strati di ognuno dei quali abbiamo calcolato il volume e la posizione del baricentro. Per il calcolo del peso abbiamo preso la densità 2,2 adottata nella perizia del Tribunale.
Gli elementi e i risultati del calcolo sono raccolti ed indicati nell'Allegato N. 37 e nella Tabella 5 dell'Allegato N. 35.
La risultante di tutte le forze agenti sulla faccia superiore del tampone si è determinata analiticamente (Tabella 6 dell'Allegato N. 35); essa incontra il piano stesso a metri 12,55 a monte dello spigolo a valle dello zoccolo; le sue componenti sono:
X = 3592 tonn. Y = 6125 tonn.
e l'angolo di inclinazione con la normale è dato da
tg f =x/y = 0,587
Per confrontare detti valori con quelli ottenuti dalla perizia del Tribunale occorre combinare la componente verticale della risultante Rb della perizia, componente che ha 5300 tonn. di valore e metri 9,75 di braccio rispetto allo spigolo a valle dello zoccolo (Tav. 8 della perizia del Tribunale), col peso di 915 tonn. (Tav. 9, id., id.) che pure agisce sul tampone superiormente alla quota 1521, e il cui braccio rispetto allo stesso punto è di metri 28,20.
I risultati sono sensibilmente concordanti coi nostri (Tabella 7 dell'Allegato N. 35).

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B) Effetto della forma arcuata del tampone. - La perizia del Tribunale trascura completamente tale effetto quando determina la stabilità del tampone contro il rovesciamento mentre sembra dare ad esso molta importanza quando, tra le cause presunte del crollo, enuncia il fatto che il tampone era tagliato in due dalla galleria di scarico, e che quindi era impedito di reggersi per contrasto come arco. E' evidente che se una parte della pressione idrostatica andava a comprimere l'arco, di altrettanto doveva essere diminuita quella che agisce a inflettere il complesso tampone-sperone (effetto mensola) nel piano medio verticale.
E' importante dunque di effettuare questa ripartizione tra arco e mensola, allo scopo di giudicare della stabilità del tampone come arco.
Ci metteremo perciò in condizioni sfavorevoli per l'arco, nel senso che trascureremo tutti quegli elementi che portano a un aumento della sua freccia d'inflessione, mentre terremo conto, nella mensola, di tutti quegli elementi che valgano a infletterla maggiormente, giacchè è noto, pel principio del minimo lavoro, che la ripartizione avviene in proporzione della rigidezza delle parti collaboranti.
Esamineremo perciò la porzione di tampone compresa tra i piani di simmetria di due vòlte consecutive e ciò in corrispondenza della sua massima altezza, cioè dello sperone 7, e supporremo che in questa porzione la pressione dell'acqua agisca sino al punto più basso del fondo valle (1503), supporremo pure che la galleria di scarico si trovi, non in diagonale, come è in realtà, ma sull'asse dello sperone stesso; ammetteremo anche che il modulo di elasticità della parte sottostante alla quota 1514 sia 1,5x106, per tener conto della natura della muratura e che nella parte comune con l'arco compresa tra le quote 1521 e 1514 esso sia 2x106. Terremo conto altresì, nella mensola, dello sforzo di taglio.
Al contrario nel calcolare la deformazione dell'arco terremo conto della sola compressione supponendola ripartita uniformemente nella sua faccia meridiana, chè se fosse ripartita disugualmente il lavoro di deformazione sarebbe maggiore. Abbiamo pure trascurato, nel calcolo della deformazione dell'arco, il momento e lo sforzo di taglio, del resto piccolissimi, prodotti dalle reazioni d'imposta, come pure il momento di torsione derivante dal fatto che la X da decomporre non agisce sul piano medio dello strato di 7 m. considerato, ma molto più in alto.
Riassumendo abbiamo con le nostre ipotesi supposta diminuita la elasticità dell'arco e aumentata quella delle mensole, quindi i valori che troveremo saranno certamente affetti di errore per eccesso nell'arco e per difetto nel complesso tampone-sperone.
Eseguito il calcolo (Allegato 34, N. 4) e tenendo conto anche della pressione idrostatica agente sul tampone al disotto della quota 1521 si hanno i seguenti valori:
1° sforzo di compressione sullo strato compreso tra le quote 1521 e 1514 U = 1,2 kg. per cmq. 2' sforzo di compressione al disotto della quota 1514 s = 5,1 kg. per cmq.
Questi sforzi non sono tali certamente da creare un pericolo, lo sforzo 2°, anzi, sarebbe benefico, in quanto, comprimendo la muratura con una pressione superiore a quella dell'acqua che è 4,3 kg. per cmq. sul punto più profondo, impedirebbe l'entrata di questa, venendo a realizzare la prescrizione assai severa data dal Levy. In realtà, essendo lo sforzo reale certamente minore di quello calcolato, esso si limiterà ad ostacolare il passaggio dell'acqua. Questa ricerca poteva considerarsi perfettamente superflua chè, se sforzi esagerati si fossero manifestati nell'arco, questo si sarebbe lesionato in chiave dove il flusso di forze aveva la massima concentrazione, il che non è avvenuto.
La ricerca non è stata però inutile, in quanto ci ha chiaramente mostrato l'effetto della forma arcuata che è quella di diminuire notevolmente l'effetto mensola. Per renderci conto dell'influenza benefica della forma arcuata, abbiamo ricalcolata come rettilinea una diga che è stata calcolata ed eseguita curvilinea, a grande raggio e il cui rapporto tra raggio medio e spessore è paragonabile con quello della diga del Gleno, essendo le altezze poco diverse, la diga di Gibraltar. L'Allegato N. 38 mostra che, pur non tenendo alcun conto delle sottopressioni, la risultante uscirebbe fuori dalla base, con grave pericolo della stabilità, mentre la diga di Gibraltar sta ancora perfettamente in piedi.
Possiamo dunque concludere che se la perizia del Tribunale avesse tenuto conto della forma arcuata del tampone sarebbe giunta a risultati molto diversi e ben più tranquillizzanti. Noi pure, nei nostri calcoli abbiamo voluto, ad abundantiam, prescindere da questo vantaggio.

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C) Effetto delle sottopressioni. - Essendo, come si è visto, la roccia per tutta la superficie occupata dal tampone, ancora coperta dalla muratura, tranne che in due limitate zone, è evidente che non è la sottopressione tra roccia e muratura quella che dobbiamo considerare giacchè essa non è stata capace di determinare uno scorrimento sulla roccia nè, tanto meno, una rotazione della diga intorno al suo spigolo di base.
La superficie di frattura è tra muratura e muratura ed è qui, per conseguenza, che dobbiamo ricercare quale possa essere stata la reale azione dell'acqua per quel che riguarda la stabilità.
Ammettiamo che tutta la massa muraria del tampone fosse permeata dall'acqua in pressione, e che questa pressione variasse linearmente da quella insistente sul paramento a monte fino a zero sul paramento a valle, trascurando l'effetto drenante del cunicolo di scarico.
Tale ipotesi di variazione lineare è molto sfavorevole, giacchè, dalle esperienze dell'Ing. Mattern durante la costruzione di alcune dighe, e specialmente di quelle di Solingen e di Nordhausen, risultò che l'acqua penetra con grande difficoltà nei meati e che quindi la pressione va rapidamente diminuendo, nei primi metri di spessore.
Tale fatto è confermato da recenti osservazioni alla diga del Tirso nella quale, l'acqua di travenazione esce senza carico sia quando ha attraversato il piccolo spessore delle vòlte, sia quando ha attraversato e le vòlte e parecchi metri di muratura seguente.
Ma se possiamo ammettere che la pressione decresca linearmente da monte a valle non possiamo assolutamente ammettere che essa si eserciti su tutta la superficie, giacchè ciò significa ammettere un velo continuo di acqua quale si ha sotto la chiglia di una nave quando sta per strisciare sul fondo.
La presenza di zone nelle quali vi è contatto diretto tra muratura e roccia, o tra muratura e muratura, è un fatto indiscutibile giacchè, non bastando la sottopressione a neutralizzare il peso sovraincombente, a tale differenza deve necessariamente supplire la reazione della parte sottostante (roccia o muratura) e questa non può aversi che attraverso zone a cantatto diretto.
Così, quando una nave striscia sul fondo essa perde in parte la sua galleggiabilità e trasmette direttamente alla terra parte del suo peso: la cosa è ben segnalata sia dal forte rumore dato dallo strofinio delle lamiere sulla sabbia, sia dalla fatica delle eliche chiamate improvvisamente a vincere una grande resistenza d'attrito che non può essere dato che dalla reazione del terreno visto che la sottopressione non genera attrito.
Nel nostro caso l'acqua non può occupare altro spazio che quello esistente tra i granuli di cui è composta la malta.
Il Mattern dalle sue esperienze ha dedotto che, nelle condizioni più sfavorevoli per l'impermeabilità il coefficiente esprimente il rapporto tra la superficie dei vuoti e quella totale, non raggiunge mai il valore di un decimo.
Dalle accurate esperienze del Nazzani risulta che la proporzione tra il volume dei vuoti e l'intero è nella sabbia sottile 0,35.
Il rapporto superficiale, m, essendo i due terzi di quello cubico, è quindi per la sabbia soltanto di 0,24; in una muratura ove i 2/3 sono occupati dalle pietre e solo 1/3 dalla malta, ove i vuoti della sabbia sono riempiti dai granuli di cemento e dall'acqua di costituzione, tale rapporto deve essere ulteriormente ridotto, almeno della metà, avvicinandosi così a quello ottenuto dal Mattern per osservazioni dirette.
Prima del crollo della diga di Bouzey, dovuto sopratutto a cedimenti di fondazione, non si calcolava affatto la sottopressione, eppure le dighe del Gouffre d'Enfer, di Ternay, del Bari, del Pas du Riot e altre in Francia (Allegato N. 33), di S. Roque in Argentina e molte altre resistono splendidamente, dovendosi anche notare che tutte queste dighe sono in malta di calce idraulica.
Applicando il coefficiente m = I usato nella perizia del Tribunale è facile spiegare il crollo della diga del Gleno, ma vengono ad apparire in cattiva condizione anche dighe recenti o in costruzione progettate dai più esperti ingegneri.
Se, per esempio, applichiamo il coefficiente m = I alla diga di Chavanon in costruzione (Allegato N. 38) abbiamo che la risultante di base esce 4,5 m. fuori del nocciolo e che lo sforzo in C lungo il paramento è assai elevato (27,7 kg. per cmq.) più che doppio di quello analogo della diga del Tirso. Invece con m = 1/3 lo sforzo diviene tollerabile (23,3 kg. per cmq.).
E' notevole che variando m da o a 0,66 lo sforzo massimo è pressochè costante mentre tra 0,66 e 1,00 esso aumenta rapidamente (Allegato N. 35, Tabelle VIII e IX). Adotteremo nel nostro calcolo m = 1/3 col quale in base alle considerazioni svolte siamo certi di stare al disopra della realtà anzichè al disotto.

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D) Effetto drenante del cunicolo di scarico. - Pur non tenendone conto nel calcolo di stabilità del tampone, abbiamo voluto studiare come varia la sottopressione lungo la superficie piano conica L A E (Allegato N. 39) assunta quale linea di studio per l'equilibrio della pila 8.
Sviluppata in piano detta superficie determiniamo la sottopressione in ogni suo punto osservando che:
1° lungo la linea L L' la sottopressione è costante ed è data dal carico idrostatico (H = 30m);
2° lungo il contorno e nel paramento a valle del cunicolo di scarico la sottopressione è nulla;
3° lungo la linea L A E e L' A' E' di contatto tra roccia e muratura la sottopressione decresce linearmente.
Avendo determinato i valori delle sottopressioni lungo queste quattro linee possiamo, per interpolazione, trovare tutti gli altri valori ricordando che l'acqua segue sempre a parità di resistenza la via più breve.
Abbiamo così individuato il solido della sottopressione che sezioneremo coi piani medi delle pile 7 e 8.
Per la pila 8 l'ipotesi della variazione lineare tra i paramenti a monte e a valle è ammissibile, mentre per la pila 7 non lo è, come si vede dal disegno, giacchè la sottopressione si annulla a 19 m prima del paramento a valle.
Dobbiamo da ultimo ricordare che il paramento a monte era in calcestruzzo di cemento e che lungo tutto il suo contorno esisteva un taglione incassato nella roccia con una profondità da 1,50 a 2,00 e di uno spessore di 1,50, fatto di calcestruzzo di cemento; detto taglione doveva potentemente ostacolare il passaggio dell'acqua e difatti, dalla poca importanza delle efflorescenze che si riscontrano nelle parti interne del cunicolo di scarico, si può dedurre, confrontandole con altre dighe, che dette filtrazioni dovevano essere di poca importanza.
Anche per l'effetto drenante del cunicolo di scarico possiamo dunque concludere che esso era benefico ai riguardi della stabilità dei piloni centrali. La perizia del Tribunale non ne ha tenuto conto, e noi pure, per l'accennato criterio ad abundantiam lo abbiamo trascurato nei nostri calcoli.

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Fatte le premesse sopra elencate possiamo passare alla verifica della stabilità del tampone in corrispondenza agli speroni più sollecitati e procederemo nell'ordine:
a) Sperone N. 9;
b) Sperone N. 7;
c) Sperone N. 8.

a) Sperone N. 9. - Questo è lo sperone che secondo i calcoli della perizia del Tribunale trovavasi nelle peggiori condizioni, giacchè la risultante, nel calcolo grafico, veniva a cadere a metri 6,40 a valle dello spigolo S (Tav. VI della perizia del Tribunale).
Rifacciamo i calcoli (Allegato N. 40):
Assumeremo il piano R S come piano di riferimento per la ricerca delle forze interne, non già perchè lo riteniamo un piano di frattura, ma perchè esso è assai prossimo alla roccia; del resto col metodo che usiamo, e che è quello che si è usato nel calcolo della diga del Tirso, il piano di riferimento non ha altra mansione che quella'di farci conoscere gli sforzi esistenti attorno, ai suoi punti.
Sul prismoide R B S agiscono le seguenti forze:
a) Le X e Y derivanti dal pilone (Allegato N. 35, Tabella VI);
b) il peso proprio (K = 2,3) (Allegato 35, N. 2);
c) le sottopressioni su R S (m = 1/3) (Allegato 35, N. 3);
d) la reazione della parte sottostante a R S.
Tali forze debbono farsi equilibrio e quindi, essendo note le prime tre, è nota l'ultima (Allegato N. 35, Tabella X).
Nell'Allegato 35 (N. 4, 5, 6, 7, 8, 9, Tabella XI) è sviluppato il calcolo. Nei risultati (Allegato N. 40) noi troviamo notevoli sconcordanze coi risultati del calcolo della perizia del Tribunale in riguardo all'entità delle forze, e precisamente: mentre la nostra risultante relativa a R S ha il valore di 8150 tonn. e forma un angolo con la normale ad R S la cui tangente è 0,962, nel calcolo della perizia del Tribunale l'analoga risultante ha il valore di 6300 tonn. ed ha una inclinazione alla normale di tangente 2,000 (Tav. 9 della perizia del Tribunale).
Ma la differenza capovolgente le conclusioni è che, mentre nel nostro calcolo la risultante cade su R S a m. 9,10, a monte del punto S, indicando condizioni di stabilità, nel calcolo della perizia del Tribunale cade a m. 6,40 a valle dello stesso spigolo S, indicando condizioni di rovesciamento.
Tali gravi divergenze si spiegano col fatto che la perizia del Tribunale adotta il coefficiente m= 1, invece che m=1/3 usato da noi per le ragioni dette, e con l'altro che il peso di 915 tonn. agente sulla parte a monte del tampone è considerato dalla perizia del Tribunale come scaricantesi direttamente sulla roccia sottostante, senza che eserciti alcuna azione sulla muratura rimanente.
Nell'Allegato 34 (N. 5, 6, 7, 8) spieghiamo più dettagliatamente i criteri adottati a questo proposito; qui ci limitiamo a esporre i risultati (Allegato N. 35, Tabella XI): gli sforzi di compressione non superano i kg. 6,5 per cmq. e pressochè nulli sono quelli di trazione e di taglio. Tali sforzi non sono certo eccessivi e assai lontani dal carico di rottura delle malte. I piani di scorrimento massimo formano sempre un angolo , notevole coi piani orizzontali dei giunti e quindi incontrano in diagonale le pietre.
Se si fosse assunto m = 2/3 lo sforzo massimo di compressione sarebbe risultato kg. 93 per cmq.

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b) Sperone N. 7. - Facciamo l'esame dei criteri di base dei calcoli della perizia giudiziaria per questo sperone. - La superficie rocciosa essendo irregolare la perizia del Tribunale fa due ipotesi che esamineremo dettagliatamente (vedi Tav. 8 della perizia del Tribunale, tavola che si riproduce all'Allegato N. 41).
1° Ipotesi. - La perizia del Tribunale immagina associata alla muratura del tampone la parte rocciosa U K L D che si ottiene prolungando i lati A U e C L del tampone. La pressione idrostatica resta però sempre quella agente su A U, si trova così la risultante (5) di 18500 tonn., la cui componente verticale, che è di 17670 tonn., si riparte secondo la teoria del trapezio su tutta la base D C, ottenendosi uno sforzo verticale in C di 13,4 kg. per cmq. e uno sforzo massimo pure in C di 13,5 k per cmq., che certo non basta a spiegare il crollo.
La perizia del Tribunale determina poi quale azione la parte A M L D trasmette alla parte M B C L attraverso la linea M L. Perciò essa esamina le forze che agiscono sulla prima e trova che esse sono:
1° la (2) di 915 tonn. agente sulla faccia A M;
2° la (3) di 2070 tonn. agente sulla faccia A U;
3° la (11) di 3600 tonn. peso della porzione A M D L;
4° la (12) di 2920 tonn.. agente sulla faccia D L.
Tale ultima forza non è che la risultante delle azioni verticali precedentemente trovate agenti sulla porzione D L della faccia D C.
Dobbiamo però notare a questo punto che la perizia del Tribunale ha omesso di considerare un'altra forza agente pure su D L, e precisamente la risultante degli sforzi di taglio agenti sulla stessa porzione.
E difatti la risultante (5) si decompone in una componente verticale Y di 17670 tonn., che si è già ripartita, e in una componente orizzontale X di 5600 tonn. che egualmente dovremo ripartire nella base D C.
Ciò abbiamo fatto e si è trovato che la X1 agente sulla porzione D L è 2100 tonn. (Allegato 35, N. 10).
Tale sforzo rilevante è del tutto omesso nei calcoli della perizia del Tribunale; essa perciò trova che la porzione A M D L agisce sull'altra con una forza (13) molto bassa e molto obliqua rispetto ad M L, del valore di 2700 tonn. "che tende a produrre un distacco tra le due porzioni con probabile fenditura in M le quali si accorderebbero con quelle dovute agli sforzi di trazione riscontrate sul paramento a monte"
Ciò però avviene unicamente perchè si è omessa la forza X1, e difatti se combiniamo tale forza (13) con quella di 2100 tonn. agente lungo e nel senso L D si ottiene la vera azione (13') esercitata dalla parte A M L D sulla parte M B C L.
Detta forza consiste in un peso quasi verticale agente sul punto S' del valore di 1600 tonn., con un braccio di m. 20,60, ossia con un momento rispetto a C di 33000 tonn. metri che va a favore della stabilità (Allegato N. 41).
Naturalmente se combinassimo detta forza (131) colle forze agenti sulla porzione a valle di M L si otterrebbe una nuova risultante (R 2) le cui componenti: verticale Y2 e orizzontale X2, ripartite sulla zona L C darebbero esattamente gli stessi sforzi normali e tangenziali già trovati colla prima ipotesi per lo stesso tratto L C giacchè l'equilibrio generale non può essere alterato dal modo come si combinano le forze.
2° Ipotesi. - La perizia del Tribunale però formula in seguito una seconda ipotesi e cioè che la porzione M L D A non trasmetta al corpo restante azione di sorta e trova così uno sforzo in C di 15,6 kg. per cmq.
3° Ipotesi. - Restando invariate le condizioni dell'ipotesi precedente e cioè che attraverso M L non passi azione di sorta, la perizia del Tribunale immagina che dell'acqua si insinui lungo la superficie di contatto tra roccia e muratura H K L (Allegato N. 41) conservando sempre la pressione che essa ha nel punto H e ritiene che detta pressione agisca su tutta la larghezza del tampone in corrispondenza della pila 7. Così viene a togliere alla parte restante il beneficio di ben 33000 tonn. metri mentre alla pressione idrostatica soppressa, la (3) di 2070 tonn., con un braccio rispetto a C di m. 1070 e un momento di 22200 tonn. metri, sostituisce le due forze (8) e (9) di risultante 4700 tonn., aventi m. 18,10 di braccio rispetto a C, ossia un momento di 85000 tonn. metri.
Quindi dalla prima alla terza ipotesi vi è un inasprimento di condizioni per lo sperone 7 misurato da un momento di 95800 tonn-. metri.
Non è quindi da meravigliarsi se in corrispondenza dello sperone 7 la risultante relativa alla porzione M B L C si sposti sino ad incontrare la D C a metri 0,60 a monte del punto C, mentre la stessa condizione porta l'analoga risultante relativa allo sperone 8 a metri 2,50 fuori della base; "ossia con effetto disastroso" come dice la perizia del Tribunale.
Ora la diga del Gleno non è ruotata intorno al suo spigolo di base e quindi è presumibile che questa terza ipotesi sia alquanto esagerata perchè quando la risultante cade fuori dalla base si è in condizioni di rovina immediata, mentre la diga del Gleno è stata molti mesi sotto carico parziale e ben 46 giorni sotto il carico massimo.
Per renderci conto della incompatibilità di questa terza ipotesi vediamo di trovarne una rappresentazione fisica equivalente (Allegato N. 41).
Intanto la soppressione dell'azione (13) viene a significare soppressione totale delle vòlte, della pressione idrostatica agente su A M e su A U, della muratura a monte della linea M L e di ogni appoggio sulla roccia sempre nel tratto a monte di M L, e quindi il profilo della diga si riduce a quello dato dalla spezzata P N M L.
E' una demolizione veramente terribile quella che si è così effettuata!
Ma non basta, vediamo, agli effetti della rotazione, quale è lo sforzo idrodinamico equivalente all'azione delle forze (8) e (9). Sostituiamo perciò a queste una pressione idrostatica agente su una porzione M U di tale lunghezza che il momento rispetto a O di detta pressione agente, sia uguale a quello analogo delle due forze (8) e (9). Risolto il problema si ha M U = 11,35 (Allegato 34, N. 9). Se quindi il nuovo paramento M L fosse esposto all'acqua sino al punto U il momento rispetto a O della pressione incombente sarebbe eguale a quello delle forze (8) e (9).
La terza ipotesi della perizia del Tribunale equivale quindi a considerare la stabilità di una diga di profilo a monte P N M U V, a lastroni senza peso, esposta all'acqua sino al punto U, preservata da questa, ma senza appoggio di sorta sulla roccia nel tratto U L (giacchè attraverso questo piano non passa, secondo questa ipotesi, alcuna azione) e appoggiata sulla roccia solo pel tratto L O sia pure senza alcuna sottopressione lungo detto tratto.
Una tale diga non occorrerebbe calcolarla, basterebbe guardarne la sezione per dire che essa è destinata a cadere appena messa in carico, ma non si può certo affermare che il suo strano profilo possa sostituire il reale profilo della diga del Gleno, le condizioni di carico di questa e quelle di appoggio sulla roccia!
Per questo noi non possiamo seguire la perizia del Tribunale nelle sue ipotesi, quindi dobbiamo ricercare gli sforzi agenti nel tampone seguendo un procedimento diverso, che passiamo a esporre.

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c) Sperone N. 8. - Conduciamo il piano orizzontale L B tangente alla roccia (Allegato N. 40) e determiniamo la risultante relativa a detto strato (Allegato N. 35, Tabella XI). Quindi per mezzo dei diagrammi delle n e delle t determiniamo le componenti della risultante relativa alla porzione A B dello strato A L (Allegato 35, N. 13, 14, 15).
Condotto da C il piano tangente alla roccia e calcolata la sotto-pressione in A C (Allegato 35, N. 16 e 17) combiniamo tutte le forze agenti sul prismoide A B C (Allegato N. 35, Tabella XIII e N. 18) ottenendo la risultante relativa ad A C. Possiamo così conoscere le azioni elementari n1, p1, t1 sullo strato A C (Allegato 35, N. 19, 20, 21 e 22, Tabelle XIV, XV e XVI) dalle quali otteniamo le azioni principali relative ai punti dello strato A C (Allegato N. 35, Tabella XVII).
I risultati dei nostri calcoli sono indicati nell'Allegato 40.
Lo sforzo massimo di pressione è al piede a valle di 12,3 kg. per cmq. inferiore a quello che si ha nella diga del Tirso e assai inferiore al carico di rottura delle malte usate sul Gleno.
Gli altri sforzi sono trascurabili.
Le direzioni dei piani di massimo scorrimento non coincidono mai coi giunti orizzontali e formano angoli sempre più grandi, specie verso il paramento a valle dove si hanno gli sforzi massimi, e quindi a tali sforzi resistono insieme le malte e le pietre. Si deve dunque concludere che il tampone sotto lo sperone N. 8 era in buone condizioni di stabilità.
Se si fosse assunto m = 2/3 lo sforzo massimo di compressione sarebbe risultato di kg. 17,5 per cmq.
Risultati anche più soddisfacenti di questi si otterrebbero con procedimento analogo di calcolo per lo sperone N. 7 giacchè esso trovasi in migliori condizioni di quelle corrispondenti allo sperone N. 8, come risulta anche dai calcoli dei periti del Tribunale.

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Riassumendo le cose dette in questo capitolo, nel quale abbiamo preso in esame le condizioni di stabilità dei punti più sollecitati del tampone, possiamo concludere che la stabilità della costruzione era sufficiente in ogni punto, sia considerando gli sforzi esistenti nell'arco, sia quelli più importanti nel tampone per l'effetto mensola; poichè lo sforzo di compressione "maximum maximorum" era 12,3 kg. per cmq., la tensione massima e lo sforzo di taglio nei piani di posa dei giunti erano trascurabili, e i piani di scorrimento tagliavano con angolo intorno ai 45° i corsi orizzontali di posa, interessando quindi nella resistenza il pietrame costituente la muratura.

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