PARTE TERZA
Riassunto e conclusioni
CAPITOLO
NONO.
Introduzione - Critica generale dei metodi di ricerca adottati dai periti del
Tribunale - Caratteristiche della rovina.
L'analisi esposta nella Parte Prima, di tutte le condizioni di fatto con le quali si venne sviluppando dapprima il progetto, poi la costruzione della diga del Gleno, i risultati dei calcoli della Parte Seconda e l'esame di tutti i rilievi che i tecnici fecero sul luogo, permettono di completare questi studi con la discussione e le conclusioni riguardo alle cause del crollo, eliminando quanto si dimostrasse derivato da fantastiche notizie, da deposizioni non sincere o da un esame incompleto.
***
Le cause del crollo della diga del Gleno furono discusse da moltissimi tecnici nostri e stranieri in pubblicazioni ed in conferenze ed assemblee di Associazioni tecniche; vennero poi esaminate dai signori periti del Tribunale in due distinte relazioni, in una delle quali la ricerca e la discussione sono limitate all'esame geologico e litologico della sede della diga e nell'altra, di maggior mole, accettando le conclusioni negative della prima, la discussione e le conclusioni sono esclusivamente contenute nelle caratteristiche tecniche e costruttive della diga.
***
L'opinione
pubblica, come accade sempre dopo il crollo di una grande opera aveva subito
decisamente condannato progettisti e costruttori fissando senza discussione ed
esame, in errori di progetto e di calcolo ed in colpevoli economie, la causa del
disastro.
I giudizi di pura impressione che sono in simili avvenimenti pronunciati
facilmente anche da tecnici competenti, le testimonianze che spontaneamente
sorgono dal pubblico clamore ed assumono aspetto di verità, anche se non hanno
alcuna base nella conoscenza diretta e personale dei fatti, o sono frutto di una
incosciente generalizzazione, avevano decisamente influenzato l'opinione
pubblica verso la condanna di progettisti e costruttori. Queste condizioni
d'ambiente hanno certamente esercitato la loro influenza sulle ricerche dei
signori periti del Tribunale, attraverso le malsicure testimonianze di alcuni
operai fra le centinaia che lavoravano alla diga del Gleno. Ora che tacciono i
troppo facili e pronti giudizi, è certamente opportuno riassumere e discutere
tutto il vario, confuso ed in parte sporadico complesso di ipotesi affacciate,
per dedurre, alla stregua dei fatti e di reali rilievi, per quali cause il
crollo abbia potuto prepararsi e prodursi istantaneamente.
***
La rovina della
diga del Gleno ha le seguenti caratteristiche che converrà aver sempre presenti
nella critica delle diverse ipotesi:
a) Nei giorni precedenti il crollo, con le massime altezze d'acqua nel lago, non
furono notate screpolature sulla fronte a valle, per quanto venisse
frequentemente ed accuratamente esaminata da guardiani e da ingegneri;
b) Lo spazio occupato dalla rovina è limitato alla parte centrale della diga
(tampone), là dove la base poggiava su rocce porfiriche fessurate secondo piani
subverticali con declività verso valle, fessure che attraversavano la base
stessa da valle (sinistra del Povo) a monte (destra del Povo);
c) La muratura del tampone è rimasta in gran parte aderente alla roccia (vedi
rilievi dei periti del Tribunale e Allegato N. 47) e la superficie di frattura
coincide, entro i piedritti e la vòlta della galleria di scarico e nella parte a
valle della muratura, col piano di una grande frattura della roccia; frattura
che attraversa tutta la sede centrale della diga, da un fianco all'altro della
valle (Allegato N. 36);
d) Le superfici della muratura non crollata nella galleria di scarico non
presentano la benchè minima screpolatura;
e) La frattura con la quale ebbe principio la rovina (pur essendo assai vasta,
poichè dalla fronte a valle del tampone risaliva dai due lati al ciglio della
diga), si manifestò quasi istantaneamente.
I tecnici che studiarono le cause della rovina, tennero poco conto di queste che
pur erano le caratteristiche più importanti e discussero e giudicarono di dette
cause indipendentemente da esse, allontanandosi così dalla sola traccia che
poteva guidare in qualche modo nella ricerca. Alcuni vollero in un'unica causa
esterna e di carattere straordinario - per esempio i moti sismici - trovare la
spiegazione della rovina in tutta la sua estensione e rapidità, senza pensare
che cause sismiche capaci di produrre effetti così grandiosi dovevano pure
essere avvertite in un raggio di diffusione relativamente grande; cosicchè fu
facile la ripulsa dei periti del Tribunale (vedi relazione Stella), i quali alla
lor volta non spinsero l'esame fino a vedere se la stessa causa agendo con
minore intensità, ma ripetutamente, ed aggravata da speciali condizioni locali,
non sarebbe stata sufficiente a preparare condizioni così favorevoli alla
rovina, che un'altra causa di potenza pur non paragonabile all'effetto finale,
ma istantanea, riuscisse nel tragico momento a determinare il crollo.
Era quindi necessario esaminare obbiettivamente i possibili effetti di ciascuna
delle varie cause esterne alla diga indicate nelle varie ipotesi, non soltanto
per il caso della massima potenza corrispondente alla rapida ed immane rovina,
ma anche per gli effetti di intensità assai minore, pur dannosi alla compattezza
e resistenza delle murature della diga, che la stessa causa poteva produrre
agendo con particolare frequenza; e ciò in relazione a quegli indizi o segni di
tale sua azione che fossero ancora evidenti localmente.
Riassumendo poi sinteticamente gli effetti di degrado delle varie cause, si
poteva avere una conoscenza abbastanza esatta delle reali condizioni della diga
nella fase precedente il crollo e giudicare della natura e della potenza di
quella causa istantanea che i periti del Tribunale non poterono scoprire e che
producendo la grande, rapida frattura nel tampone, determinò con la spinta
dell'acqua lo scorrimento e la rovina della parte centrale della diga.
E' questo il metodo di obbiettiva indagine che abbiamo seguito mettendo sempre
le nostre deduzioni in relazione coi rilievi che venivamo man mano raccogliendo
nei nostri sopraluoghi.
CAPITOLO
DECIMO.
Le murature del tampone in relazione alle ipotesi dei periti del Tribunale, ai
calcoli, documenti e rilievi.
L'esame di
tutte le cause dannose alla stabilità della diga, e dei loro effetti, pur
seguendo la traccia già esposta, non può essere disgiunto dalla discussione
critica delle affermazioni, delle ipotesi e conclusioni della perizia del
Tribunale. E' anzi necessario mettere in raffronto quelle affermazioni e
deduzioni con le caratteristiche già citate del crollo e coi nostri rilievi di
fatto. Eliminando così tutto ciò che non può essere realmente avvenuto, si verrà
chiarendo la natura e gli effetti delle vere cause della rovina.
I signori periti del Tribunale dal controllo del calcolo degli speroni e delle
vòlte multiple, vengono facilmente alla conclusione che le loro dimensioni e le
loro armature metalliche ne assicuravano la stabilità. Del resto ciò era
naturalmente confermato da quanto rimane a destra ed a sinistra dello squarcio,
intatto, senza crepe, nonostante l'enorme sforzo laterale subito durante il
crollo in aggiunta alla pressione della massima altezza d'acqua. Perciò i periti
del Tribunale ricercarono la causa del crollo nel tampone della parte centrale
della diga, immane blocco di muratura dello spessore di più di trenta metri,
incuneato nella spaccatura del Povo entro il dicco di porfirite, così da formar
corpo con questo, e attraversato parzialmente dalla galleria di scarico.
E ricercarono detta causa col presupposto di uno sfacelo del tampone per
compressione, spingendo le loro deduzioni fino ad una ipotesi che dimostrasse
tale tesi (vedi nostri calcoli nella Parte Seconda). Esempio evidente e
fondamentale di questa orientazione diretta a giustificare una ipotesi
catastrofica, è l'esame della distribuzione delle pressioni alla base del
tampone, esame che nella perizia del Tribunale, è svolto nel seguente modo:
Il piano della frattura del tampone, declive con una inclinazione di circa 40°,
ha interessato la vòlta della galleria di scarico, tagliandone di sbieco la
parte superiore.
Limitando lo sguardo alla parte sinistra (per chi guardi verso monte), i periti
del Tribunale determinano una piramide col vertice in basso compresa fra la
parete verticale sinistra della galleria, la falda d'appoggio sulla roccia ed il
piano della frattura. Questa piramide richiama alla mente dei periti del
Tribunale, quelle che risultano dalla rottura dei solidi compressi e questo
richiamo devia le loro ipotesi verso quella di una rottura della base del
tampone per compressione. Ma è naturale obbiettare che una sola delle faccie di
questa piramide è faccia di frattura; le altre sono i piani che limitavano
naturalmente o per opera dell'uomo, quella parte di tampone. Se al contrario
avessero allargato tutto lo sguardo a sinistra e a destra, essi avrebbero avuta
la visione completa della superficie di frattura con declività grossolanamente
costante e la loro mente sarebbe stata piuttosto richiamata ad altre cause di
frattura.
L'effetto di compressione è allora così definito dai periti del Tribunale: "Da
una parte verso il fianco della montagna, una superficie (EC) che invitava la
muratura sovrastante a scoscendere verso il torrente; dall'altra l'assenza di
ogni contrasto per la interruzione brusca e completa creata dalla galleria sulla
rispettabile altezza di 10 metri (BAD) attraverso tutto il tampone; nel corpo
della muratura, così male fiancheggiata, un flusso di pressioni discendenti
dalla soprastruttura di forze incalzanti prepotentemente verso valle per la
piccola scarpa data al tampone e per la sfortunata riduzione in questa zona a
pochi centimetri della risega di passaggio al piede dei piloni".
Sarà meglio definire in forma meno sintetica le condizioni di lavoro di quella
parte di muratura; poichè il flusso di pressioni discendenti ed incalzanti può
pittoricamente indurre nell'errore di una concentrazione su spazi via via minori
dei pesi e delle spinte di tutta la parte centrale della diga. In fatto le forze
(p) gravanti su un piano M N superiore al volto A B, dovevano ridursi alla
spinta H del volto, ad un carico verticale P e ad una spinta orizzontale da
monte a valle, mentre sotto al piano M N ed inferiormente ad A si aggiungevano i
pesi dei vari tronchi della muratura del tampone. Risultava quindi dalla loro
composizione un sistema di pressioni (q) variamente inclinate contro roccia da C
fino alla base E B. Se così non fosse e, contrariamente a semplici norme di
statica, il flusso di pressioni si accumulasse in quella stretta fra la roccia e
la parete B A come un flusso di vene liquide, tutte le dighe in strette gole di
valle con aperture di scarico al fondo, dovrebbero frantumarsi alla base.
La verità è che la roccia lateralmente resisteva a pressioni normali ad essa,
che l'adesione fra muratura e roccia contrastava alle componenti tangenziali e
che la base E B doveva risultare pochissimo caricata. Ed infatti noi non
rilevammo fratture nella parte inferiore della parete A B.
I periti del Tribunale furono inoltre specialmente impressionati dalla cattiva
qualità del calcestruzzo di rivestimento sulla faccia a monte del tampone e da
una lunga screpolatura con traccia orizzontale che corre lungo essa,
attribuendola ad un inizio di tensione a monte.
La cattiva qualità del calcestruzzo di rivestimento ha in quel posto le
caratteristiche degli impasti che hanno subito il gelo durante la presa; il che
poteva facilmente accadere a quella altitudine. Diceva il Prof. Ganassini nella
sua conferenza (alla Associazione Elettrotecnica Italiana) sulla diga del
Vannino, che i paramenti interni devono essere tenuti intatti dal gelo almeno
per otto giorni dopo la gettata e che le zone più cimentate per screpolature
dovute al gelo, sono quelle corrispondenti ad una certa stazionarietà del pelo
liquido. Ora si è visto che il lago cominciò a funzionare come serbatoio alle
minori altezze quando la diga era ancora in esecuzione; l'orizzontalità della
screpolatura indica chiaramente un livello rimasto durante l'inverno stazionario
per qualche tempo. Ne segue che essa non penetra profondamente e non intacca la
struttura muraria interna del tampone. Ed infatti nella superficie della
muratura, ora scoperta verso valle, quella screpolatura non appare.
I periti del Tribunale rilevano anche che la parte di diga a destra dopo il
pilone 13, rimase salda e non presenta screpolature ed attribuiscono ciò
all'essere ivi la diga impostata sulla roccia, anzichè sul tampone.
L'esame della roccia avrebbe loro rivelato che ivi stanno i saldi banconi
calcari e che i segni della rovina sono nettamente limitati alla zona porfirica
fratturata. Se l'indagine geognostica non si fosse svolta indipendentemente da
quella tecnica, ma le medesime persone avessero insieme fatta tutta l'inchiesta
mettendo in relazione l'esame tecnico con quello delle rocce di base, i periti
del Tribunale sarebbero rimasti colpiti dalla coincidenza del variare della
roccia col cessare degli effetti del crollo e nelle loro conclusioni, anzichè
limitarsi al tampone, avrebbero esteso il campo delle indagini sulle cause alle
sottostanti muraglie porfiriche.
***
Finito l'esame
generale e d'impressione delle rovine, i periti del Tribunale espongono i
calcoli di stabilità dei piloni e delle zone di tampone sottostanti, facendo
varie ipotesi in ordine, diremo così, di stabilità decrescente. Il calcolo dei
piloni fino alla loro base sul tampone, dà risultati normali. Il calcolo
continua poi nella ricerca della condizione di lavoro del tampone per le zone
centrali corrispondenti ai piloni 7, 8, 9, ove un dosso di roccia s'incunea
nella metà a monte del tampone. Quantunque questi calcoli dei periti del
Tribunale siano stati ampiamente discussi nella Parte Seconda della nostra
relazione, e rifatti su basi più corrispondenti alla realtà, con risultati che
riducono la compressione a valle ed escludono tensione a monte, è qui opportuno
riassumerli sinteticamente onde porre in evidenza ciò che vi è di irreale nelle
premesse e nelle deduzioni.
Nella prima ipotesi si suppone che la roccia incuneata formi solidalmente corpo
con la muratura - come fosse vera e propria muratura - e così si ottiene alla
base dei piloni 7, 8, un carico massimo di compressione di kg. 13,4 per cmq. Nel
secondo calcolo, variando la prima ipotesi, viene separata idealmente la
porzione di roccia e, prescindendo da essa, si ottiene una compressione massima
di kg. 15,6 per cmq. nel pilone 7 e di kg. 18,6 nel pilone 8. Infine nell'ultima
ipotesi la perizia del Tribunale suppone lo stacco completo della muratura dal
dosso di roccia, ed una vena d'acqua continua fluente fra la muratura e la
roccia.
E' questa l'ipotesi catastrofica che conduce a conclusioni di rovesciamento e
crollo. Ma questa ipotesi non regge quando la si confronti con la realtà dei
fatti.
La Tavola V allegata alla perizia del Tribunale mostra nelle sezioni della
rovina ai piloni 7, 8, 9 che la muratura è rimasta, anche per grossi spessori,
aderente al dosso di roccia, nonostante gli eccezionali sforzi di tensione
subiti durante il crollo. L'adesione fu per lo meno pari a quella fra la malta e
le pietre della muratura e tanto forte, da superare le resistenze interne di
scorrimento e di tensione sviluppate dalla muratura durante la rovina.
L'ipotesi di stacco della muratura dal dosso di roccia è dunque esclusa
nettamente dalla realtà del fatto, ed esclusa rimane per conseguenza l'ipotesi
della sottopressione di vena continua fluente fra muratura e roccia.
Nella precedente Parte Seconda di questa relazione si dimostra in quale misura
debbano essere invece contenute le ipotesi di sottopressioni, in relazione alle
reali possibilità ed all'esperienza; ed il calcolo che ne deriva conferma la
stabilità della diga.
Del resto le perdite, d'acqua non erano tali da dimostrare vera una ipotesi di
vena continua. I periti del Tribunale in base alla testimonianza del guardiano,
determinarono una perdita totale di litri 105 al minuto secondo fra tracimazioni
e travenazioni, ossia circa mezzo litro per metro di lunghezza di diga. Ora alla
diga del Vannino (vedasi conferenza Ganassini) la perdita massima fu determinata
in 35 litri al minuto secondo; ossia ancora mezzo litro per metro di lunghezza
di diga. E si noti che l'altezza d'acqua al Vannino è circa la metà di quella
che era al Gleno a ridosso della parte centrale della diga. E potremmo citare
dighe di recente costruzione nelle nostre Alpi, che mostrano perdite fino ad un
litro per metro di diga.
L'ultima ipotesi è dunque eliminata dalla realtà dei fatti, come risultano dai
rilievi degli stessi periti del Tribunale e dalle deposizioni dei testi. Non
occorre aggiungere che se con simili ipotesi, si verificasse la stabilità di
tutte le dighe le quali perdono mezzo litro d'acqua al secondo per metro (e sono
molte), nessuna risulterebbe stabile. (Vedasi ancora la Parte Seconda della
presente Relazione).
Rimangono le prime ipotesi. Per quanto il secondo calcolo trascuri la solidale
resistenza del dosso di roccia con la muratura, ne discutiamo i risultati,
mettendoli in relazione con quelli delle prove al Laboratorio del Politecnico di
Milano.
I periti del Tribunale trovano con la seconda ipotesi una compressione massima
di 18 kg. per cmq., d'altra parte il campione prelevato dal plateone di
calcestruzzo (che per m. 2,70 formava la parte superiore del tampone), ha dato
una resistenza alla rottura di kg. 105 per cmq., nonostante il degrado portatovi
dallo scalpellamento e dagli urti del trasporto. Siamo dunque ben superiori ai
18 kg. per cmq., e verifichiamo nel plateone un rapporto di sicurezza di circa 6
volte: perciò non è nel plateone che potrebbe al caso aver avuto inizio la
rottura per compressione.
Dalla sottostante muratura di pietrame con malta di calce e cemento, non era
possibile prelevare campioni: manca dunque il dato esatto della sua resistenza
alla rottura per compressione, ed il giudizio è affidato all'apprezzamento di
ciò che mostrano le rovine e di ciò che si conosce riguardo alla resistenza di
questo tipo di muratura. Attualmente la malta si presenta dura e compatta e la
muratura nelle faccie in vista (galleria di scarico) non presenta traccie di
quegli interni scorrimenti che precedono ed accompagnano la rottura per
compressione. Una specie di prova di resistenza venne subita da un masso di
muratura di pietrame con blocchi di porfirite e malta di cemento e calce e del
volume di circa tre metri cubi che si trova nel letto del Dezzo a monte del
paese di Dezzo (Allegato N. 43). Esso mostra i blocchi di porfirite ben uniti
alla malta: non si ritiene che esso potesse appartenere alle murature di qualche
edificio a valle della diga perchè si esclude che vi fosse muratura simile
altrove che nel tampone della diga; esso è caduto per i salti del Povo, ha
rotolato colla torbida per qualche centinaio di metri e non si è sfasciato nei
suoi elementi. Ciò dimostra ad ogni modo che la coesione fra malta e pietrame in
murature di questa specie può risultare ottima e che la malta non rimane
plastica, ma fa un'ottima e completa presa.
Ma che la malta di calce del Gleno dovesse fare buona presa anche fuori dal
contatto dell'aria, ci è ufficialmente confermato dalle prove che il Viganò fece
eseguire il 1920 nel Laboratorio del Politecnico di Milano. Alle dette prove la
malta di calce e sabbia del Gleno mostra una presa relativamente rapida (dopo 7
giorni dà 19 kg. per cmq. di carico di rottura) e, quanto alla resistenza, dopo
28 giorni il .Direttore del Laboratorio misura un carico di rottura di 35 kg. al
cmq,; otte-nuto mantenendo il provino nell'acqua fuori dal contatto dell'aria.
Torna qui opportuno ricordare che il Decreto Ministeriale IO gen-naio 1907
prescrive per la malta di calce idraulica ordinaria un carico di rottura dopo 28
giorni, di 25 kg. per cmq. La malta della calce del Gleno superava dunque le
prescrizioni Ministeriali. Si aggiunga poi che la malta del tampone conteneva
una parte di cemento per due di calce, ed aveva quindi una presa ed una
resistenza migliori di quella della malta di sola calce, provata al Politecnico
di Milano.
I periti del Tribunale aggiungono che la sabbia adoperata al Gleno per formare
le malte era di pessima qualità; ma interviene ancora nel 1920 il Prof. Revere
del citato Laboratorio a comunicare al signor Viganò che le malte formate colla
sabbia adoperata al Gleno hanno una resistenza superiore di quella delle malte
ottenute colla sabbia, tipo normale, del Ticino.
I periti del Tribunale dicono anche che la muratura di pietrame del tampone, pur
ammettendo fosse di buona malta, non poteva resistere ad un carico di 18 kg. per
cmq. Orbene il Regolamento del Ministero Prussiano dei Lavori Pubblici 31
gennaio 1910, ammette per la muratura di pietrame con malta contenente una parte
di cemento per due di calce un carico di sicurezza di 15 kg. per cmq.: e ciò
significa che il carico di rottura è più volte superiore ai 15 ed anche ai 18
kg. per cmq.
Alla stregua di questi fatti e rilievi, risulta infondata l'ipotesi della
plasticità della muratura del tampone con la quale i signori periti del
Tribunale giustificano le loro conclusioni. La verità è che l'ipotesi derivava
soltanto dalle dicerie sorte, come sempre accade, dalla generale commozione,
allo scopo di trovare in qualsiasi modo un responsabile, dicerie che si
fondavano su giudizi avventati e di bocca in bocca si ingrossavano a fantasia,
coll'aiuto di coloro che, licenziati o puniti, durante i lavori, coglievano
l'occasione propizia alla loro temeraria vendetta.
Eppure bastava riflettere che la muratura del tampone era in condizioni di
lavoro da circa due anni. Man mano che la diga si alzò, nel 1922 e nel 1923, si
utilizzò un crescente immagazzinamento nel lago per le centrali già in funzione,
raggiungendo livelli di 10 m., 20 m., fino al livello massimo durante
quarantasei giorni prima del crollo (Allegato N. 19), cosicchè la pressione
specifica unitaria nella muratura del tampone andò crescendo gradatamente nel
tempo di due anni fino a raggiungere i 13 od i 18 kg. per cmq., a seconda delle
varie ipotesi, ed a questo limite fu sottoposta per quarantasei giorni; e
durante tutto questo tempo, nel quale secondo i Periti sarebbe stata plastica ed
al limite di rottura, la muratura non presentò sulle faccie, visibili per vasta
superficie esternamente, alcun segno di cedimenti, di fratture, di scorrimenti
plastici interni, infine di fatica. E ciò è confermato dagli stessi periti del
Tribunale, riconoscendo essi che il crollo non fu preceduto da alcun segno
d'allarme. L'ipotesi della insufficiente resistenza della muratura non può
dunque reggersi: tutto quanto si può dedurre da quei calcoli è che non furono
mai raggiunte, a lago pieno, condizioni di lavoro interno che potessero
determinare la rottura della diga ed il crollo, e perciò la causa del crollo va
ricercata all'infuori del corpo stesso della diga: in altre parole, in
condizioni di roccia di fondazione normali, la diga era stabile anche nella sua
parte centrale.
Veniamo ora a quella parte del lavoro dei Periti del Tribunale che riguarda la
roccia sulla quale posava la diga.
CAPITOLO
UNDICESIMO.
La roccia di fondazione del tampone in relazione ai movimenti sismici o di
locale assestamento - Conclusioni della Parte Terza.
La perizia del
Tribunale, espone in due brevi relazioni del Prof. Augusto Stella ed una
appendice dei signori Professori Danusso e Ganassini, l'esame dei quesiti
riguardanti le condizioni geologiche della base della diga e gli effetti
geofisici e sismici, venendo a conclusioni del tutto negative.
Infatti la perizia del Tribunale dice:
"E' da escludersi in base alle tassative conclusioni del Prof. Augusto Stella,
che il terreno di appoggio della diga non si presentasse adatto alle fondazioni
dello sbarramento"; e, nella lettera 30 maggio 1924 per quanto riguarda
l'effetto dei microsismi, dicono i signori periti del Tribunale: "In realtà nel
mese di novembre 1923 si ebbero negli osservatori geofisici delle registrazioni
di microsismi di importanza limitata e tali da non potersi considerare come
scosse telluriche. Di tali vibrazioni della crosta terrestre, paragonabili come
ordine di grandezza alle oscillazioni che può produrre un ordinario veicolo
percorrente una strada, se ne registrano quotidianamente. Per quanto concerne la
Parte Seconda e cioè l'influenza che tali microsismi od altre cause di natura
geofisica possono avere avuto sopra la roccia di fondazione della diga, si
conferma ancora la conclusione già delineata in precedenza, e cioè che i margini
di sicurezza ordinari delle normali costruzioni comprendono largamente ogni
effetto che alle suddette influenze si possa attribuire. Se così non fosse ogni
costruzione comune sarebbe continuamente esposta a rovina".
Il periodo che chiude la relazione del Prof. Stella è d'altra parte assoluto
nell'escludere "ogni dipendenza di causa ed effetto fra il crollo del 1°
dicembre 1923 e le condizioni geologiche del terreno, da ritenersi buone sia
nell'area del serbatoio, sia nella zona di imbasamento della diga di ritenuta".
Però le considerazioni che precedono questo periodo finale non sono altrettanto
decise. Il Prof. Stella rileva infatti che nelle rocce porfiriche formanti la
base della diga, ed elevantesi dal fondo valle come muraglie, ci sono qua e là
dei peli di stacco specialmente secondo un verso subverticale e trasversale alla
valle, "ma quelli però appena evidenti come litoclasi all'affioramento, si
chiudono rapidamente contro monte parzialmente riempiti e ricementati da vene
quarzo-ideritiche.
A nostro parere l'errore di deduzione dalla causa all'effetto sta in quella
frase: "i margini di sicurezza ordinari delle normali costruzioni comprendono
largamente ogni effetto che alle suddette inluenze si possa attribuire" Infatti
l'affermazione dei periti del Tribunale è vera per l'effetto di microsismi, solo
in quanto si voglia attribuire ad uno di essi la rottura istantanea completa
della parte centrale della diga e la sua rovina; ma non è più vera, e lo
riconosceranno anche i signori periti del Tribunale, se con la parola "effetto"
si intende solo il parziale, continuo degrado alla base della muratura sulla
roccia in forma di più o meno vasti piani di frattura, e ciò in corrispondenza
alle nuove fratture o litoclasi che al ripetersi di quei microsismi, venivano a
manifestarsi nella porfirite. Infatti un esame più completo dei peli di stacco
avrebbe condotto il Prof. Stella alle seguenti constatazioni (Allegati N. 42,
44, 45, 46):
1° Che detti peli di stacco si rilevano sia a valle che a monte della diga, e
formano un fascio subverticale e trasversale, senza soluzione di continuità,
dall'una all'altra parete della valle, precisamente dove la roccia porfirica
strapiombante sul fondo valle, era premuta sui fianchi ed a monte dai saldi
banconi delle arenarie siliciose e conglomerati quarzosi, come un cuneo stretto
in un enorme morsa. In tali condizioni è ovvio concludere che la roccia
porfirica doveva fessurarsi profondamente per poter assumere sotto le enormi
pressioni circostanti nuovi stati di assestamento.
2° Che la superficie di frattura sul tampone, così come si presenta ora alla
base del tampone e nella vòlta della galleria di scarico, segue grossolanamente
il piano e l'andamento più evidente fra dette fratture di roccia.
3° Che i litoclasi, appena evidenti sull'affioramento, hanno larghezze che
affiorando arrivano fino a circa 40 cm. e qualche così detto pelo di stacco è
rilevabile ancora a profondità di parecchi metri entro la roccia con larghezze
di qualche millimetro (galleria di presa). Cosicchè è ovvio definirli come vere
e proprie fratture interessanti la muraglia porfirica per grande profondità.
4° Che nelle maggiori di dette fratture, là dove vi è il riempimento con
quarzosiderite, questa è rotta e staccata su una o entrambe le pareti della vena
con apparenza di fatto recente.
E' questo un particolare di grande importanza, il quale rivela che uno
scorrimento non lento, ma rapido, quasi istantaneo, non infinitesimo, ma di
spazio così notevole da misurarsi a vista, non insensibile come le oscillazioni
prodotte da un ordinario veicolo, ma così potente da rompere e staccare
riempimenti durissimi e fortemente cementati alle pareti, è di recente avvenuto.
5° Dove la roccia sotto il tampone rimase scoperta per il crollo, le fratture di
roccia sono in genere riempite di malta, eccetto qualcuna che appare a bordi
netti e puliti senza traccia di malta neanche in profondità. Ciò dimostra che
queste ultime fratture si formarono dopo la costruzione del tampone ed a
conferma di ciò, venne rilevata una visibilissima screpolatura della muratura
del tampone rimasta aderente alla roccia dopo il crollo.
E' così dimostrato che fratture nella roccia sotto il tampone si formarono dopo
la costruzione della diga e che determinarono nella muratura stessa fratture in
continuazione ad esse.
A queste conclusioni sarebbe certo venuto il Prof. Stella se l'esame fosse stato
più dettagliato e completo, e se non fosse stato deviato dalla considerazione
che fughe d'acqua entro roccia non furono osservate sotto il tampone della diga,
al che si deve obbiettare che le testimonianze al riguardo sono incerte, mentre
alcune fotografie più probanti dimostrerebbero l'opposto (Allegato N. 48) e
d'altra parte le infiltrazioni in roccia possono scendere fino a grandi
profondità, e riescire all'esterno nel fondo valle.
I detti rilievi indicano in modo certo quali effetti potessero determinare nel
tampone della diga scorrimenti i quali hanno talora raggiunto potenza
sufficiente a rompere i cementi quarzosi più duri e resistenti che la natura
possa preparare.
Infatti il tampone aderiva inferiormente alla superficie della roccia e la
adesione era aumentata da corrugamenti e formava superiormente un unico corpo
colla parte centrale della diga trattenuta ai lati dalle armature metalliche
delle vòlte che la legavano colle pile-spalle. In tali condizioni uno
scorrimento delle rocce di base, doveva ineluttabilmente trascinare verso valle
la parte inferiore del tampone determinando in esso una frattura declive, da
monte a valle, così come infatti si rileva. E ciò sarebbe accaduto anche se la
muratura del tampone fosse stata delle più salde, poichè, non poteva certo avere
resistenza maggiore delle rocce porfiriche e delle quarziti più dure
fortissimamente aderenti a pareti scabrose di fratture in roccia.
Ma che infine la potenza delle oscillazioni sismiche e di assestamento potesse
raggiungere valore più elevato di quella corrispondente alle oscillazioni
prodotte da un ordinario veicolo, noi troviamo sicura conferma nelle
osservazioni sperimentali fatte da un illustre studioso di sismotectonica,
Ottave Mengel, basandosi su sismi avvenuti nel 1922 nella parte orientale dei
Pirenei. Tali osservazioni dall'agosto al dicembre 1922, sono anteriori di un
anno al crollo del Gleno; non vi può quindi essere dubbio che questo avvenimento
si colleghi in qualche modo alle deduzioni del Mengel, e neanche potevano essere
note al compianto Prof. Taramelli, quando nel 1920 dava parere favorevole per la
prescelta sede della diga. Forse riescono nuove anche al Prof. Stella, per
quanto grande sia la sua coltura in questo ordine di studi e di ricerche, poichè
non è possibile conoscere tutto quanto si viene studiando e pubblicando di
sismotectonica, scienza nascente che studia l'influenza della struttura del
suolo sull'effetto dei sismi e sul modo di propagarsi delle loro vibrazioni. Noi
riteniamo che ad ogni modo egli troverà assai interessanti le constatazioni di
Mengel, poichè da esse risulta provato che le risonanze sismiche si riproducono
là dove esiste una brusca soluzione di continuità nel rilievo o nella
composizione di diverse rocce od elementi in contatto, per esempio lenti
porfiriche incluse in altre formazioni geologiche, dossi rocciosi strapiombanti
su acqua, condizioni tutte che si verificano per la base rocciosa sulla quale si
è costruita la parte centrale della diga del Gleno.
Ma vi è di più: dalle osservazioni del Mengel riguardo "Alle origini e cause
probabili dei sismi al nord dei Pirenei o risulta che il luogo dell'origine
ipocentrica di tali sismi risiede in rocce d'origine vulcanica racchiuse fra
strati di banconi calcari: che carattere particolare di tali formazioni è, sia a
nord che a sud dei Pirenei, l'instabilità, ossia il succedersi di assestamenti
che dànno luogo a sismi locali d'intensità e diffusione più o meno vasti. Ed è
importante notare che tali condizioni orologiche si riscontrano appunto nel
dicco di porfirite racchiuso fra banconi calcari che formò la sede centrale
della diga. Non sarà quindi eccessivo dedurne che tale dicco di porfirite possa
essere centro ed origine di sismi della valle del Povo (Allegato N. 55).
Per quanto riguarda poi i sintomi che si manifestarono al momento del crollo,
noi potremmo trovare una conferma nella deposizione del teste Morzenti,
guardiano della diga. Egli infatti dice: "Mentre passavo sulla passerella della
diga ebbi l'impressione che vi fosse un movimento sussultorio e che io fossi
quasi spinto a piegare sul lato destro". Questo movimento sussultorio potrebbe
essere portato a prova di una forte risonanza sismica.
Ma noi troviamo la deposizione Morzenti in palese contraddizione con quanto
segue:
E' provato dalle nostre ricerche che il cambiamento nella produzione e
distribuzione d'energia dal regime di notte a quello di giorno, succedeva
regolarmente alle otto del mattino, anzichè alle sette; l'avviso telefonico
veniva dato prima, perchè il guardiano fosse sicuramente pronto a fare la
manovra di maggior apertura della valvola per l'ora normale delle otto. Si è
anche constatato dopo il crollo che la valvola di presa conservava il grado di
apertura del regime notturno (Allegato N. 49, testimonianza Ducci). Non è dunque
vero che il Morzenti abbia aperta la valvola alle sette per la maggior presa
diurna, ed allora è probabilmente altrettanto non vera la sua passeggiata sulla
passerella, oppure se vi andò non fu per aprire la valvola di presa.
Noi rinunciamo perciò a questa fortuita conferma di una vibrazione sussultoria
sismica al momento del crollo; noi non diamo parvenza di realtà ad ipotesi non
fondate su reali accertamenti. Fra la realtà e l'ipotesi vi è uno spazio che non
può essere colmato da dubbie testimonianze; ci limitiamo perciò a quelle
deduzioni che risultano incontrovertibili, perchè basate su rilievi e su fatti,
sempre e da chiunque controllabili.
E queste deduzioni derivano in modo evidente e logico da quanto abbiamo prima
esposto: cioè la muratura del tampone posava su un dicco di roccia porfiroide
nel quale un processo di progressivo e continuo assestamento ha determinato
prima della costruzione, durante questa, ed in seguito, fratture secondo piani
di scorrimento subverticali declivi ed attraversanti, dalla sinistra alla destra
del Povo, tutta la base centrale della diga. Questo assestamento ha provocato
analoghe fratture nel tampone, non visibili nel paramento a valle perchè interne
nella base e nella massa di quella muratura.
Così, in modo subdolo, la natura dei luoghi ha preparato le condizioni più
favorevoli alla rovina della diga; così, come accade per argini potenti che la
piena abbatte quando lentamente la natura ne abbia indebolita la base. La
mattina del 1° dicembre 1923 una causa istantanea, determinata dallo stesso
assestamento delle rocce o comunque esterna alla diga, estese quella frattura a
tutto lo spessore del tampone fino alla base dei piloni centrali. Sotto la
pressione di base dei detti piloni dovette staccarsi la parte anteriore del
tampone e dietro ad essa cedere i piloni e quindi aprirsi alle imposte le vòlte
che si appoggiavano ad essi, e sotto la spinta dell'acqua, tutto rovesciarsi a
valle.
***
Concludendo:
1° La stabilità della diga del Gleno, per quanto riguarda i piloni e le vòlte
che ad essi si appoggiavano, era assicurata così come risulta dai calcoli e
dalle stesse conclusioni dei periti del Tribunale.
2° La stabilità della diga, fatto riferimento ai carichi massimi risultanti dai
calcoli, in quanto dipendeva dalle dimensioni e dalla resistenza della muratura
del tampone, era pure assicurata; ciò risulta dai certificati di prova delle
malte del Laboratorio di resistenza dei materiali del R. Istituto Tecnico di
Milano, dalla normale resistenza alla compressione di simili murature di
pietrame, e dalle constatazioni su ciò che rimane di detta muratura.
3° I fenomeni sismotectonici e geofisici della roccia su cui posava la parte
centrale della diga, rilevati ora dall'esame delle parti scoperte, confermati da
recenti studi su simili condizioni di fatto, hanno determinato nella muratura
del tampone condizioni interne di degrado tali, che una causa di natura
istantanea, determinata dallo stesso assestamento delle rocce o comunque esterna
alla diga, e fors'anche di non grande potenza, ha potuto provocare il cedimento
a valle dei piloni centrali, e conseguentemente, la loro rovina.