Giovanni Tagliaferri, testimonianza di un operaio

"Fin dal 1921 venni adibito in qualità di muratore per la costruenda diga del Gleno. I lavori erano direttamente gestiti dalla Ditta G. Viganò, e come capo era un tal Sperandio. Ignoro le altre sue generalità.
In quella data venne mutato il progetto della diga a gravità in quella ad archi multipli, e fu così che mi fu dato di constatare che la muratura eretta l'anno precedente e quella sulla quale dovevano avere la base i piloni della nuova costruenda diga, era male fatta ed invero per fare le basi degli archi noi operai dovevamo levare una parte della muratura stessa. Per tale operazione, giacché la muratura era eseguita da un anno, dovevano occorrere picconi e martelli, mentre invece, poiché la malta era malfatta, anche solo con le mani si sgretolava facilmente il predetto muraglione. Mi fu dato di trovare o sola malta, con calce ancora bagnata e facile a spappolarsi, o solo pietrame a secco, pochissima era l'adesione tra impasto e pietrame. Ed invero la calce usata per la malta, e che era quella prodotta dalla fornace di Val Bona (calce di Triangla), non era affatto adatta, e senza presa.
Su tale basamento, poiché il muro già eretto non venne che solo in parte demolito, si piantarono poi i piloni della diga ad archi multipli. Io stesso ed altri operai comprendemmo che la diga non poteva avere quei dati di stabilità e solidità voluti, e ci preoccupammo assai. Non si ebbe a reclamare poiché temevamo un immediato licenziamento.
Nello stesso anno io venni adibito ai lavori di muratura sulla base del piano, sul quale man mano si procedeva per la erezione della base della diga stessa. Gli operai addetti allo sbarramento ed alla lavatura e costruzione delle piccole trincee e buchi sul detto piano erano sollecitati dai capi, e pertanto la roccia non si presentava pulita e ben scavata, come a regola d'arte.
Per tale fatto, me presente, come presenti erano altri operai mura, tori che ora non so indicare, l'ing. Santangelo ebbe a protestare e far recriminazione. Fece sospendere i lavori di muratura e fece rifare l'operazione di sterramento e scavamento fino alla roccia viva, e quella di lavatura. Mi ricordo che detto ingegnere dopo di aver sgridato i capi dei lavori, proferì la seguente frase: "È meglio piangere ora che piangere dopo". Tale frase io la ricordai sempre, perché ammoniva i dirigenti e gli operai di procedere a regola d'arte in lavori così delicati.
Nel 1921 subentrò la Ditta Vita & C. con i propri muratori. Io lasciai in detta epoca i lavori del Gleno e mi portai a Vilminore per la costruzione del bacino di Santa Maria.
Ritornai ai lavori del Gleno nel successivo 1922 e passai alle dirette dipendenze della Ditta Vita Luigi & C. Constatai subito che la detta impresa altro non aveva per scopo che di far più in fretta possibile la muratura; e lavoravano a cottimo. Per tale fatto i lavori stessi procedettero malamente. La sabbia per gli impianti era sporca d'argilla, la malta era mal lavorata. A volte si presentava troppo bagnata, a volte era solo ghiaia e cemento, e di quello scadente, anche.
Io non ho mai visto buttar nei piloni pietrame a secco. So però che due operai nel 1922 vennero licenziati dal Viganò perché avevano ciò fatto. Tanto la Ditta Vita come pure il Virgilio Viganò pretendevano che i lavori procedessero alacremente e solo per tale circostanza gli operai erano costretti a procedere non a regola d'arte, ma a casaccio ed alla carlona.
Nel 1923 fui ancora sui lavori del Gleno. In detto anno la Ditta Vita & C. teneva ancora il medesimo sistema; l'ordine era quello di far più presto possibile. Fu in detta annata che potei vedere dei piloni riempiti anche per circa mezzo metro a solo pietrame a secco, senza poi procedere alla dovuta pressione con mazze o battitori. Sopra poi si buttava un vagoncino d'impasto, e senza curarsi di bene spianarlo lo lasciavano come cadeva.
Fin dal 1922 constatai che la diga sui ponti ove iniziavano i piloni gemeva d'acqua. Erano zampilli di alquanta capacità e di diversa forza. Nel successivo 1923 le perdite aumentarono in volume, così che l'acqua pure alimentava un canale appositamente costruito ed era utilizzata per forza motrice.
Ho potuto constatare che, non appena raggiunto un livello, il Viganò Virgilio pretendeva che il pelo d'acqua del bacino aumentasse, di modo che la muratura, ancora fresca, subiva tosto il contatto e la pressione dell'acqua del lago. Lavoravo sul ponte per l'intonaco interno della diga e mi fu dato di vedere certe volte che i ponti stessi erano spostati dall'acqua immessa nel bacino. Per tale causa noi operai dovevamo lasciar la muratura senza intonaco o sospendere tale lavoro.
Nell'ottobre dello scorso anno 1923 mi trovavo ancora a lavorare sul Gleno, e più precisamente procedevo alla ristabilitura del muro della diga ed intonachi degli sfioratori. In detta epoca il lago era pieno e gli sfioratori scaricavano continuamente acqua. Capitò in luogo il sig. Virgilio Viganò, ed in presenza anche del capo Antonio Nosetti, della ditta Vita, mi diede ordine di procedere alla costruzione di incastri, e ciò all'evidente scopo di poter apporre poi alle finestre tavole o griglie per otturarle e far così che il livello dell'acqua del lago aumentasse. Per procedere a detti lavori, poiché il livello del lago era al massimo, io lavorai in barca nell'interno della diga.
Al 10 novembre lasciai i lavori del Gleno. Fino a tale epoca sulle finestre degli sfioratori non vennero adattate tavole o griglie. Sentii poi dalla voce pubblica che tali tavole o griglie vennero pochi giorni prima del disastro apposte, ma nulla di mia scienza posso al riguardo dire. Null'altro so.
Letto confermato e sottoscritto.
F.to TAGLIAFERRI GIOVANNI, anni 26, Pezzolo.
(Testimonianze presso la Pretura di Vilminore)

(Tratto dal libro "Il disastro del Gleno" di G. Sebastiano Pedersoli - Edizione riveduta in occasione del 75° anniversario - Copyright Edizioni Toroselle di Pedersoli dott. Giacomo)

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