Transito di S. Giuseppe


 Nel Transito di S. Giuseppe nonostante che nei panneggi vibranti di spatolate luminose e filate vi sia più di un contatto con le opere dei primi anni del Settecento (le tele della volta della Basilica di Clusone, i Santi e gli Apostoli di S. Spirito a Bergamo) - una materia pittorica che resterà più o meno costante in tutto il percorso di Antonio Cifrondi -, il volto di S. Giuseppe e soprattutto quelli appuntiti della Vergine e del Cristo, così come l’impostazione un po’ in tralice della scena, rimandano a un momento successivo dell’attività del clusonese che riteniamo posteriore ai raggiungimenti dei Padri della Chiesa di Gorlago e comunque da situarsi alla fine del primo decennio del secolo. Allo stesso momento di ispirazione appartiene certamente (e non solo per l’identità del soggetto) il Transito di S. Giuseppe di Nese. La Madonna altissima e assente - il volto fuori misura e troppo piccolo - chiude a destra la scena che a sinistra contiene la figura semiseduta e arcuata del Cristo che tasta il polso al vecchio Giuseppe ormai con gli occhi sbarrati e la bocca aperta: un clichè che tornerà in alcuni dei Vecchi dell’ultimo periodo bresciano e che dà un’ulteriore conferma a una datazione non eccessivamente arretrata. I rosa e gli azzurri quasi uguali del manto e della veste del Cristo e della Vergine fanno da quinta, bilanciandosi cromaticamente, alla figura centrale in bianco e verde intenso, avvolta nelle fluide pieghe dello stazzonato bianchissimo lenzuolo. Nel fondo bruno della stanza sono gli emblemi di una vita e di un mestiere (la pialla, la sega), ordinatamente sistemati o appesi a un chiodo. Sul proscenio due puttini guardano con curiosità il frutto di un miracolo vecchio di decenni, la verga fiorita.

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