www.scalve.it

La terra, il pascolo, il coltivo

L'allevamento, la pastorizia

Il bosco e i boscaioli

Lino, canapa, lana

La vita quotidiana

Economia e vita familiare

La popolazione

Il documento fotografico

Gli artigiani "forestieri"

I carrettieri

La ruota

La miniera e i  minatori

I forni fusori

Falegnami e carpentieri

Il mulino

I carbonai

Il torchio e la macina

La caccia

Gli emigranti 

                                       

Museo Etnografico

MUSEO ETNOGRAFICO DI SCHILPARIO

Orari: Tutti i giorni dalle 9,00 alle 12,00 e dalle 13,00 alle 17,30
tel. 0346 55393

IL BOSCO E I BOSCAIOLI

L'articolo 5 del regolamento economico 24 marzo 1855... Prescrive di limitare per massimo nei progetti di vendita alle piante aventi il diametro non inferiore a cm 40 preso ad un metro dal suolo verso monte.
Questa limitazione produce l'effetto che non debbasi vendere che piante grandi e stramature; ed è pei nostri boschi di doppio danno, primo perchè le legne stramature producono un carbone non forte e meno adatto alla fusione del ferro all'opposto carbone delle legne meno invecchiate che producono un carbone più forte e più utile alla forte fusione del ferro, e più ricercate e meglio pagate, perché tali piante occupano nella loro conferenza una buona estensione del contiguo fondo che occupato da quei rami non vi agisse né il sole ne le ruggiate e ne anche le piogge, e perciò rimane tutto quel estensione affatto spopolata e in fruttifera, e vi muojono ancora le piccole pianticelle che per avventura vi esistesse anco dopo levata la pianta per molti anni e rimane in fruttifero, ed a stento e si riproduce.
All'opposto non lasciandomi delle si forti piante, il terreno che peraltro è ben verace si mantiene popolato e anco assai fitto per cui di mano in mano che legne si avanzano, né per l'ordinario ogni 8 o 10 si diradano a scelta prelevando le legne più fitte ed a discreta maturanza, scegliendo sempre le più infeconde e  meno vegetanti e storte o danneggiate in qualche modo, lasciandovi le migliori che promettono propria vegetazione, e così si ha una quantità di legna e di migliore qualità, ed entro brevi spazi di tempo, ed il bosco e si riproduce egualmente breve, ed è perciò che si ottiene maggior quantità di legna in minor tempo, a differenza da ciò che risulterebbe a lasciare invecchiare le piante che non vi arriverebbero in moltissimi luoghi né pur in un secolo, e più anzi in molti luoghi invecchiando intereliscono, e poi rimarrebbe il fondo insterilito anco per molti anni addietro è forse anca sempre.
(Petizione alla luogotenenza della Lombardia, 3 maggio 1855)

L'articolo 8 prescrive che la terramento delle piante si eseguisca senza l'estirpazione del ceppo, che si potrà poi vendere in seguito se troverà opportuno. Ancor questo riesce discapito all'utilizzazione del bosco resinoso, perché lasciandomi il ceppo, occupa il fondo, che fino non è affatto consunto il ceppo, non riproduce, ed invece estirpando ancora il ceppo oltre che si ottiene la legna, si smuove e si coltiva il terreno e così smosso vi germogliano subito le sementi che vi cadono in abbondanza e vi crescono mirabilmente, e quindi non sono da lasciarvi le ceppaje che quelle sole, che affatto contigue ad altre pianticelle si dovesse queste necessariamente estirpare o danneggiare.
L'articolo 22 del regolamento 20 marzo 1855 vorrebbe che si facessero lì assegni delle leghe ad uso focolare o di famiglia, con la fissazione del bosco, ubicazione e dimensione e età delle legna.
Su tale proposito si ritiene di far osservare che questi comuni non hanno boschi propriamente detti nei quali i comunisti esercitano tagli di leghe ad uso di fuoco, ma per tale uso hanno il diritto e la consuetudine di tagliare i spini ed i piccoli rbusti, cespugli e simili non abili a carbone cresciuti nei boschi di privata ragione, e talvolta di pochissima entità di modo che in molti luoghi si deve percorrere più ed anche molte pertiche di terreno onde rinvenire ove ottenere ormai una lieve carica di legna da uomo ancor che  verde e pesante ed è perciò che non si potrebbe fare un assegno, oltre che sono in assai piccola porzione ma sufficiente neppure per i più poveri, i quali sono giorni nei quali forse non hanno l'opportunità di fare la giornata, si accingono a girare l'intero giorno a radunare una sua carica di legna e talvolta a stento.
L'articolo 25 prescrive poi ancora che tali legne ad uso di fuoco non possono tagliarsi e trasportarsi che del principio di ottobre a tutto aprile, anco questo è affatto incompatibile colla nostra aalpestre ubicazione mentre in tale epoca i boschi sono sempre coperti di neve, e le esterne operazioni affatto ineseguibili per l'eccessivo freddo e neve.
(Petizione alla Luogotendenza della Lombardia, 3 maggio 1855)

La legna migliore da bruciare, da noi, è certamente il faggio, ma vanno bene anche l'acero e il frassino... tutto il ceduo forte. Non ha le stesse calorie del faggio, anche se e della buona legna, il ceduo dolce… l'ontano, il nocciolo, il salice. La betulla fa una bella fiamma, ma non scalda molto... Invece ha tante calorie ed è un legno forte il ramo di "paghèra": quando facevano il "poiàt" con i rami di paghèra, venivano fuori dei pezzi di carbone che suonavano come il ferro. Anche il pino mugo faceva un carbone eccellente.
Ogni legna veniva poi usata per qualcosa di preciso: ad esempio le "lese di strusì" - ed anche i primi sci - erano fatte con il frassino, abbastanza forte e scivoloso, ma bisognavsa usare frassini giovani, perché quelli vecchi sono fragili. Anche l'acero poteva andar bene, ma è più fragile del frassino: con l'acero si facevano i "basgiòcc".
Sarebbe invece stato un controsenso fare una "lesa" col " pagher ".
Il nostro legname si adatta poco a immobili e ai serramenti, perché è un legname nervoso e ci sta poco; è invece buono per l'edilizia, per i tetti, per le travi, per le armature delle case...
Ci sono tanti piccoli segreti... La trementina, ad esempio, che si usava per fare gli unguenti... antireumatici… Al povero Cesare di Schilpario -l'ultimo anno che lavoravo nei boschi gliene davo tanta- per ogni litro di trementina mi dava un chilo di reggiano… lui preparava questi unguenti antireumatici, che servivano anche per cicatrizzare le ferite....
Ma non tutti i larici hanno la trementina, bisogna prendere quelli delle coste esposte al vento, perché il vento produce nel larice delle ondulazioni e il larice piano piano si "spoglia" nel tronco e fa dentro delle "lame", degli "occhi" che si riempiono di trementina… Poi quando si tagliano viene fuori la trementina: la quantità non dipende dalla grandezza dei larici, ma dalla posizione esposta al vento... Ci sono larici anche piccoli, di 30-40 centimetri alla base, che danno molta trementina... anche 2, 3 litri.
Una volta ho tagliato un bosco sopra Ronco e ne avrò tirata insieme 40-50 litri … su una costa -che chiamano "costa di maoi" - tutte le piante che tagliavo gli schizzava fuori la trementina alla base… allora prendevo su delle scatole… dei cartoccii del latte e con delle cortecce facevo delle "saline"… ne ho raccolta davvero molta.
Quando mi ferivo le dita prendevo l'olio dell' "aès", dell'abete bianco, che nella corteccia ha come delle piccole vesciche… si rompono e viene fuori un olio profumatissimo. A mettere quello lì in due giorni si cicatrizza la pelle. Oppure si usava la trementina.

www.scalve.it