Da
sempre l'uomo ha voluto rappresentare iconograficamente sé stesso e gli oggetti della sua
vita, nonché gli animali che cacciava; basta ricordare i graffiti nelle caverne o le
incisioni rupestri della Val Camonica.
La parola fotografia deriva dal greco antico photo (luce) e graphia
(scrittura)
Già Aristotele (circa 400 a.C.) aveva descritto la camera "obscura"; questa era
una grossa scatola posta all'aperto: in una parete era praticato un foro di piccole
dimensioni dal quale filtrava la luce, che produceva sulla parete opposta un'immagine
capovolta del paesaggio esterno.
In epoche più recenti Leonardo da Vinci studiò questo fenomeno più
scientificamente.
Nel 1550, circa, si comincia a studiare il vetro ottico: la lente (Girolamo
Cardano).
Daniele Barbaro combina alla lente un diaframma e queste nuove invenzioni sono applicate
alla "camera obscura".
Dobbiamo aspettare fino agli inizi dell'700 per vedere dei risultati, seppure modesti, il
problema era fissare l'immagine su un'emulsione stabile nel tempo. Nel 1727 SCHULZ scoprì
che i sali d'argento diventavano scuri se esposti alla luce, ma non trovò un'applicazione
pratica.
Altri studiosi provarono con nitrato d'argento e cloruro d'argento, ma solo nel 1827
JOSEPH NIECEPHORE NIEPCE fece la prima fotografia vera e propria; trattò una lastra di
peltro con bitume di Giudea e la espose per 8 ore.
Alcuni anni dopo DAGUERRE inventò il dagherrotipo; usava lastre d'argento, che
sensibilizzate con vapori di iodio formavano lo ioduro d'argento; la lastra veniva
sviluppata con vapori di mercurio e fissata con iposolfito di sodio (presente anche negli
attuali fissaggi).
FOX TALBOT fece il primo negativo con una soluzione di NITRATO D'ARGENTO e sale comune
spalmato su carta, ma era un sistema molto lungo e non poteva competere con quello di
DAGHERRE. TALBOT continuò gli esperimenti e nel 1841 con una soluzione di NITRATO
D'ARGENTO e ACIDO GALLICO riuscì a fare esposizioni inferiori ai 30 secondi. Nel 1847 ABEL NIEPCE, cugino del famoso JOSEPH, sviluppò un metodo che consisteva nel ricoprire il
vetro con albume montato e miscelato con IODURO DI POTASSIO; induritosi questo strato, si
trattava la lastra con NITATO D'ARGENTO, la si esponeva e la si sviluppava con ACIDO
GALLICO.
Nel 1850 circa SCOTT ARCHER incominciò a sperimentare il collodio. ARCHER aggiungeva al
collodio dello ioduro di potassio, immergeva le lastre in un bagno di NITRATO D'ARGENTO e
le esponeva ancora umide; questa emulsione consentiva pose inferiori ai tre secondi; per
lo sviluppo usava acido PIROGALLICO o solfato ferroso; per il fissaggio cianuro di
POTASSIO. Con questa tecnica, nel 1855, per fotografare il Monte Bianco, BISSON si avvalse
di ben 25 portatori. Nel 1864 BURNE fotografò la Catena dell'Imalaja accompagnato da 40
portatori, un gruppo di servitori e 6 guide. Il collodio dava buoni risultati, ma era
troppo complicato e ingombrante; furono allora sperimentate nuove tecniche e si arrivò
alla pellicola di celluloide ricoperta da uno strato di emulsione in gelatina. Nel 1888
GEORGE ESTMAN presentò una nuova fotocamera: con lo slogan "voi premete il bottone,
il resto lo facciamo noi": era la famosa KODAK.
La KODAK era leggera, compatta e non era necessario che il fotografo sviluppasse da sè le
sue foto; la fotocamera era fornita di una pellicola con cui si facevano 100 fotografie:
finita la pellicola la si portava alla KODAK che la sviluppava e restituiva le lastre
adatte per la stampa a contatto.
Verso la fine degli anni '20, la Germania, propose i più sostanziali miglioramenti
tecno-ottici e nel 1924 la LEUTZ presentò la famosa LEICA. Nel 1947 l'invenzione da parte
di EDWIN LAND della POLAROID bianco e nero.
Possiamo far risalire la nascita della fotografia a colori al 1861, allorché il fisico
scozzese JAMES MAXWELL tenne una conferenza in cui dimostrò come fosse possibile creare
tutte le sfumature cromatiche mediante equilibrate addizioni di luce di colore uguale a
quello dei 3 colori primari (rosso, verde, blu). Questa era la prima applicazione del
sistema che verrà definito SINTESI CROMATICA ADDITIVA.
Il francese LOUIS DUCOS nel suo libro "LES COULEURS EN FOTOGRAFIE: SOLUTION DU
PROBLEME", nel 1869 stabilì tutti i principi basilari della moderna fotografia a
colori, sia quella della sintesi additiva, sia quello della sintesi sotrattiva.
Nel 1906 WRATTEN e WANWRIGHT presentarono a Londra la lastra pancromatica sensibile a
tutti i colori dello spettro; ma questa invenzione era una copia di quello che fu
realizzato nel 1904 da AUGUSTE e LOUIS LUMIERE che successivamente la brevettarono.
Tra gli anni 30-40 due musicisti MANNES e GODOWSKY con un lavoro d'équipe, con i tecnici
della ESTMAN-KODAK produssero la prima pellicola KODACHROME, che si usa tuttora.
Nel 1942 la KODAK rende disponibili le prime pellicole per la fotografia all'infrarosso.
L'ultimo notevole progresso verificatosi nell'ambito della fotografia a colori, è stato
nel 1963, con l'invenzione di un sistema per ottenere all'istante e automaticamente stampe
a colori: il processo sviluppato per le proprie fotocamere della POLAROID.